venerdì 21 dicembre 2012

Sintomas sin inconsciente de una epoca sin deseo


El título con el que nuestro colega Marco Focchi nos invita a leer este libro es ya un preciso diagnóstico del sujeto de nuestra tiempo: un sujeto que reduce su síntoma a un trastorno —genético, neuronal pero también social o conductual,— sin referencia al saber inconsciente, es también un sujeto que se extravía, que se esfuma con su deseo. La fórmula, tan bien construida, incluye una paradoja que el autor abordará de hecho bajo diversas formas en estas páginas: si el deseo es por definición inconsciente, entonces no hay modo alguno de detectar las dos ausencias —la del deseo y la del inconsciente mismo— de manera directa o empírica en los síntomas de la época en cuestión. Son dos “sin” que sólo pueden escucharse como un hecho de discurso, ordenados en una estructura de lenguaje. El deseo inconsciente escapa así a toda objetivación, ya sea por vía de la medición o por la de su reproducción experimental, tal como requeriría cierta condición de cientificidad, bien discutible por otra parte. Dicho de otra manera, tanto inconsciente como deseo son términos que no admiten negación, no admiten antítesis que lleve a síntesis posible, como tampoco admiten un método de verificación por la contraprueba que sea válido para todos los casos. Lo no-inconsciente no es lo consciente, y es también una impropiedad conceptual hablar de un no-deseo, lo que en todo caso sería un deseo-de-no. Inconsciente y deseo son así inherentes al ser que habla, insisten en él cuanto más evasivos se hacen para él mismo. 

Miquel Bassols i Puig

domenica 16 dicembre 2012

Maschere del femminile


Conversazione con Marco Focchi   realizzata da Viviana Berger  Leggi il testo sul nuovo sito seguendo il link

domenica 11 novembre 2012

Per non dimenticare















Emma Danini, Per non dimenticare, Edizioni Albatros, Roma 2011


Le riflessioni di Marco Focchi sul libro di Emma Danini si possono leggere nel nuovo sito seguendo il link 

Per non dimenticare

lunedì 29 ottobre 2012

Il glamour della psicoanalisi


È uscito il mio nuovo libro: Il glamour della psicoanalisi, Antigone Edizioni. Se ne può leggere di seguito l'introduzione.


INTRODUZIONE

L’efficacia è un tema che sempre assilla la classe manageriale. Un filosofo raffinato come François Jullien, autore di un complesso Trattato sull’efficacia, dove mette a confronto sull’argomento tutta la cultura cinese e quella occidentale, è stato prontamente invitato a uno stage rivolto a manager aziendali probabilmente impegnati in qualche tipo di transazioni commerciali con l’Oriente. L’ideologia corrente, e non solo quella manageriale, tende ad accreditare la convinzione che l’efficacia sia semplicemente un problema tecnico. Salta invece agli occhi la sua ineludibile valenza politica. Non c’è un’idea neutrale di efficacia.
La visione utilitarista, propria della cultura d’impresa, mira a massimizzare i benefici delle nostre azioni, che devono quindi andare a segno con il minimo di perdite. No a giri tortuosi, no a indugi, no al lezioso gioco con il tempo che promuove l’inutilità del godimento in un’economia incentrata sull’eccesso e sullo spreco, come quella di cui parlava Georges Bataille.
La prospettiva dell’efficacia, pensata in termini utilitaristi, viene applicata oggi, senza troppo selezionare, praticamente a tutto, quindi anche al campo delle psicoterapie. Se l’azione efficace consiste nell’accordare i mezzi con i fini, qual è il fine o, in ultima istanza, il prodotto che deve derivare dalla psicoanalisi? La salute? Il benessere? La guarigione? 
In medicina la salute si sa cos’è: l’ha definita l’OMS come completo stato di benessere fisico psichico e sociale scatenando polemiche interminabili, e sappiamo anche come l’esperienza della psicoanalisi, incentrata su una mancanza, getti un’ombra su tutto ciò che si pretende completo, integro, totale. 
Il benessere invece è il terreno di caccia delle terapie olistiche, centro di risonanza di tutte le armonie, pericoloso punto d’incrocio tra medicina e morale, o moralismo, aspetto da cui l’etica freudiana si ritrae, vedendolo come un imbonimento di buon comando. 
Cosa sia la guarigione dal punto di vista medico è chiaro: è la restitutio ad integrum, il ritorno a uno stato precedente la malattia. Ma cos’è la malattia nel campo dell’igiene mentale, se cerchiamo di andare al di là di una definizione che faccia perno sul concetto di norma decostruito dalla tradizione freudiana?
Gli schemi correnti di quel che si tratta di produrre quando si opera una terapia non sono applicabili alla psicoanalisi se non dando per scontati una quantità di temi su cui, nel Campo freudiano, stiamo lavorando da anni. 
Se, per esempio, come criterio di guarigione, si adotta quello della remissione dei sintomi, troveremo che la psicoanalisi non è in sintonia con questo criterio, perché essa promuove piuttosto un diverso uso del sintomo, che ne fa un segno di godimento. Quel che la psicoanalisi chiama sintomo infatti non è la stessa cosa di quel che la medicina chiama con lo stesso nome, come è spiegato nel terzo capitolo di questo libro.
Occorrono quindi, quando si entra in questo terreno, particolari precauzioni critiche. 
Si potrà pensare allora che si tratti di un problema epistemologico e che occorra andare ai fondamenti di verità della dottrina mettendoli alla prova. Forse per un po’ abbiamo creduto a questa versione, e negli anni Ottanta e Novanta abbiamo speso tempo a discutere e a rispondere alle obiezioni dei diversi epistemologi, da Eysenck, a Grünbaum, che si sono espressi sullo statuto della psicoanalisi. Ma è una strada senza uscita, perché si parte da assiomi diversi.
Nei capitoli otto e nove del libro ho cercato di delineare alcuni temi epistemologici coerenti con la logica interna alla psicoanalisi, ed è questo, ritengo, il terreno specifico in cui occorre entrare. Agli epistemologi positivisti che hanno preso ad oggetto la psicoanalisi dobbiamo rivolgere l’obiezione che Bergson oppone a Zenone: non puoi misurare il passo di Achille con il passo della tartaruga.
L’alleanza tra lo scientismo e il management, messa in evidenza da Jean-Claude Milner sulla traccia di Leo Strauss, è oggi abbagliante perché non debba saltare agli occhi che tutti i problemi discussi sul piano epistemologico sono in realtà problemi politici. Il tema epistemologia e psicoanalisi, se non entra nel merito della logica specifica di ciò di cui vuole occuparsi, trova la propria verità nel rapporto, meno appariscente ma senz’altro più fattivo, tra amministrazione e psicoanalisi. Le contestazioni di legittimità epistemologica vanno spogliate delle loro parvenze scientifiche perché si mostri la loro vera sostanza, che è politica.
In effetti la psicoanalisi non entra in rotta di collisione con i criteri della scienza, ma con quelli delle amministrazioni liberiste che con la svolta degli anni Ottanta si sono insediate nei governi alla leadership del mondo occidentale. 
La Scuola di Chicago ha ispirato Ronald Reagan e Margaret Thatcher in una politica che ha reso l’economia sempre più autonoma dallo Stato e dalla società.
Il solo criterio accolto è stato quello della redditività, costi quel che costi. Abbiamo visto cosa è costato per esempio in Argentina il liberismo selvaggio che, al tempo di Menem, ha indotto ad applicare le ricette di Domingo Cavallo mirate a frenare l’inflazione, e finite con il grande saccheggio del dicembre 2001 messo in atto da una popolazione ridotta allo stremo.
In Italia l’anno della svolta è il 1980 quando, in ottobre, la marcia dei quarantamila, la cosiddetta maggioranza silenziosa, ha segnato alla Fiat la sconfitta sindacale epocale che ha aperto gli anni di un nuovo orleanismo, quasi a far eco a Guizot: “Arricchitevi!”. L’attualità di questo 2012 sta poi sotto gli occhi di tutti.
L’invasione del mercato innalzato a principio incontrastato plasma la mentalità, costituisce l’opinione, diventa la base trita e ritrita di ogni ragionamento, forma il fondo opaco di cui non occorre discutere, stabilisce silenziosamente la premessa essenziale dandola per scontata. Produttività, tempi rapidi, costi-benefici, efficacia diventano i cardini, gli assiomi su cui si basa ogni ragionamento.
È un solido pragmatismo fondato sulla quantità. Quanto rende un’attività rispetto a quel che costa? Quanta salute produce la psicoterapia? Quanto benessere mi dà la psicoanalisi? Quanto tempo mi ci vuole per ottenere dei risultati concreti? Quanto? Quanto? Quanto? La logica quantificatrice, anello di congiunzione tra lo scientismo e l’amministrazione, fa il suo ingresso trionfale dalla porta che gli apre il liberismo. Vedremo se il crollo della Lehman Brothers e le sorti della Grecia, a partire dalla quale si sono cominciate a percepire le reali dimensioni dell’attuale crisi, intaccherà i dogmi di questa dottrina estremista. 
Quella ingaggiata ora dall’epistemologia al servizio della governamentalità liberista non è una battaglia di verità, che riguarda i fondamenti di una dottrina e la sua coerenza con la pratica, è una battaglia d’opinione, mirata a promuovere una nuova dimensione del credibile. 
Pensavate che la chiave della vostra esistenza fosse nella storia che avete avuto, nelle tracce inconsce che gli eventi hanno lasciato in voi, nelle scelte che avete fatto, nelle svolte in cui la vita vi ha preso alle spalle, sorpreso, travolto, innalzato o sprofondato? Vi siete sbagliati! La chiave è nei geni. Siete infedeli perché avete un patrimonio biologico non conforme  – ma conformabile! – con i pii dettami della monogamia e del rispetto della famiglia, imposto ovviamente da una non negoziabile legge di natura. Siete depressi, pensate che il mondo non abbia posto per voi, siete convinti di essere la macchia umana che inquina la superficie della terra? È perché avete uno squilibrio chimico nel cervello, avete la serotonina mal dosata. Ma non c’è problema, perché disponiamo di una nuova generazione di farmaci senza gli effetti collaterali di quelli che vi abbiamo venduto fino a ieri, che rimette tutto a posto, e domani avremo una generazione di farmaci senza gli effetti collaterali che non abbiamo ancora scoperto in quelli che vi vendiamo oggi, e... si può andare avanti all’infinito: sono argomenti che non consentono obiezione. 
Battute e ribattute dai media, queste notizie diventano nutrimento quotidiano dell’opinione, diventano la cosa ovvia, su cui non occorre discutere. C’è la garanzia della scienza, dell’esperto, nuovo nome del Nome-del-Padre in versione pseudodemocratica: la sua autorità si fonda sulla certezza che solidamente abita la scienza. Si tende a dire che la fede è il luogo delle certezza e la scienza terreno di coltura del dubbio. Vero, ma quando la scienza trapassa all’opinione attraverso il veicolo rapido dell’informazione giornalistica, la semplificazione del sapere in pillole sfronda ogni dubbio innalzando l’ultimo garante: proprio perché la scienza traversa i dubbi del collaudato metodo per prova ed errore è in grado di secernere la perla di una certezza che si solidifica nella mentalità comune con la forza incorruttibile del titanio.
Dobbiamo renderci conto che nel XXI secolo non siamo più nell’epoca in cui la demolizione del principio d’autorità corrisponde, come è stato fino all’illuminismo, a una politica d’emancipazione. La democrazia degli esperti, dei protocolli e dei sondaggi costruisce strutture governamentali  autoritarie ancora più potenti e totalizzanti. Di fronte a questo la psicoanalisi costituisce un punto di resistenza che restituisce al soggetto la parola sequestrata dall’esperto. È questo a darle un particolare glamour. Non perché sia di moda. Certamente lo è stata per molti anni. Ora è semplicemente una pratica consolidata. Procedura che si affida solo alla relazione e alla parola, impossibile da verificare in un esperimento a doppio cieco, imperniata su qualcosa di così poco empirico come l’idea dell’inconscio, sintonizzata su una sessualità che non coincide con la pornografia dei sentimenti diffusa da reti televisive indifferenti a qualsiasi conflittualità che non sia d’interessi, la psicoanalisi porta la fiaccola di una cultura che va nel senso della modernità, arginando le forme degradate di positivismo che ne costituisce la zavorra ideologica.
La psicoanalisi punta al reale, ma non quello esposto all’osservazione, su cui si fondano i dati empirici e le statistiche. È un reale che si raggiunge traversando le parvenze, scandagliando le credenze. Non si può dunque sceverare, mettendo da una parte il reale, e dall’altra ciò che genera illusione, il make-believe, che è la definizione stessa del glamour.
Gli studiosi che si sono occupati del glamour
lo considerano un fenomeno sostanzialmente moderno, nato con il crollo dell’aristocrazia, quando l’ondata rivoluzionaria francese si è diffusa in Europa con Napoleone, destituendo le gerarchie consolidate e democratizzando le prerogative una volta aristocratiche alla bellezza, alla moda, al lusso, alla fama. Tutto quel che era chiuso nel cerchio inviolabile di una sofisticatezza elitaria, posata, controllata, rompe gli argini diventando giovanile, dinamico, piacevole e abbordabile.
Il glamour è la versione democratizzata delle parvenze, quel che Lacan chiamava semblant, e corrisponde all’epoca in cui il Nome-del-Padre ha perso il tradizionale carattere austero, si è pluralizzato, non è più il garante della norma sociale ma il vettore che apre la via al desiderio.
L’interessante per noi è che dove il positivismo, come a suo tempo il cinismo greco, vuol demolire le parvenze per ottenere un reale osservabile, snudato di addobbi, la psicoanalisi, puntando a un reale che non è sotto gli occhi di tutti, deve traversare, utilizzare più che non destituire le parvenze che costituiscono, per esempio, la mascherata femminile e la parata maschile nel gioco dei sessi. Il glamour della psicoanalisi è non aver bisogno di destituire le parvenze perché non ha necessità di crederci.
Capiamo allora dove avviene il dibattito che davvero conta. Non su The Lancet o su Nature, ma sui quotidiani, sulle reti televisive, nei podcast, in quel ronzio continuo che riempie le orecchie, che rende sordi a se stessi prima ancora che ai segnali dell’inconscio, perché tende a formatizzare il soggetto sulle esigenze della massimizzazione del profitto.
Si è preteso a volte che la psicoanalisi fosse una pratica autoritaria, si è detto che infantilizza i pazienti, ma la crescita in questi ultimi due decenni di una società autoritaria che tende a soffocare ogni scintilla di vita attraverso regolamentazioni che appiattiscono tutto è la dimostrazione migliore che la psicoanalisi prospera soltanto dove si respira democrazia autentica. Una pratica di liberazione del soggetto come quella della psicoanalisi è messa alle strette in un mondo che fa del soggetto il burattino del proprio patrimonio genetico, facendosi fiancheggiatore di un governo biopolitico il cui progetto è fin troppo appariscente per chi non ha gli occhi accecati dall’ultima puntata del Grande Fratello, e ha invece ancora nella memoria la lettura dell’autentico Big Brother, quello di Orwell. Convinto di descrivere solo le purghe staliniane, Orwell ha invece disegnato il mondo in cui ci accingiamo a vivere se non opponiamo resistenza: quello in cui il Grande Fratello ci mostra quattro dita di una mano dicendo che sono cinque, e il soggetto risponde con convinzione che è vero, sono proprio cinque!       

martedì 9 ottobre 2012

L'algoritmo imperfetto dello psicoanalista contemporaneo





Testo di Marco Focchi presentato il 24 aprile 2008 al Congresso AMP di Buenos Aires

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sabato 8 settembre 2012

Il sesso fa bene



Apertura del Congresso della Scuola lacaniana di psicoanalisi tenuto a Napoli il 16 e 17 maggio 2009 sul tema: "Variazioni sessuali e realtà dell'inconscio" 

di Marco Focchi

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Il sesso fa bene

mercoledì 4 luglio 2012

Dal sintomo-verità al sintomo-pulsione



Conferenza di Marco Focchi tenuta presso l'Istituto freudiano a Milano, il 16 giugno 2012.








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giovedì 31 maggio 2012

Una prospettiva psicoanalitica sul problema delle tossicodipendenze

Intervento di Marco Focchi  tavola rotonda che ha avuto luogo il 20 aprile 2012 a Milano presso la Casa della Cultura, in occasione della presentazione del libro di Jean-Louis Chassaing "Droga e linguaggio".


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martedì 15 maggio 2012

Il godimento femminile e il godimento interdetto. In margine al Seminario XX

Intervento del filosofo Riccardo Fancilullacci presentato alla tavola rotonda l'11 maggio 2012 alla Casa della Cultura a Milano sul tema "L'eredità di Lacan nel mondo contemporaneo" in occasione della pubblicazione del Seminario XX, "Ancòra"di Lacan.





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giovedì 3 maggio 2012

Una declinazione femminile dell'autorità




Intervento di Marco Focchi alla tavola rotonda sul tema "L'orizzonte contemporaneo della femminilità" nell'ambito del Congresso AMP "L'ordine simbolico nel XXI secolo", Buenos Aires 23-27 aprile 2012


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Una declinazione femminile dell'autorità


giovedì 19 aprile 2012

La creazione dei miti scientifici: l'autismo



La conquista contemporanea dell’opinione dipende sempre di più dalla coerenza della storia che presenta una tesi nei diversi media, e dall’enumerazione dei fatti selezionati per sostenerla.
La campagna stampa, preparata da professionisti, per sostenere la tesi di alcune associazioni di genitori di autistici, racconta una storia. Fa la caricatura della psicoanalisi per proporre le terapie comportamentali come unica soluzione adatta per l’autismo nel suo insieme e per tutto lo spettro della sua estensione. L’epicentro della storia è la Francia o meglio, sono la Francia e il Belgio, ma questa storia deve essere pensata globalmente.
Riassumiamo. Attraverso procedure che consistono nell’ingannare la buona fede, una sedicente documentarista riduce la diversità delle posizioni degli psicoanalisti interrogati a una tesi ridicola: la causa dell’autismo è colpa dei genitori, specialmente della madre. La tesi per essere ridotta in tal modo sul letto di Procuste, viene formulata con amalgami e distorsioni. Una volta che la tesi è così stabilita, l’onore dei genitori incriminati e colpevolizzati, può essere salvato solo dalla più feroce denuncia dell'approccio che la sostiene. A tale scopo tutto può essere messo in gioco e snaturato per sostenere simile causa.
L’operazione è garantita dal ricorso alla scienza, che renderebbe conto dell’insieme dei fenomeni attraverso una stretta considerazione biologica, senza tener conto della relazione che il soggetto mantiene con il mondo, facendo leva su quel che certi fenomeni autistici possono far apparire e suggerendo a tal proposito un taglio netto. Il dramma relativo alla salute pubblica che tuttavia questi soggetti mettono in primo piano pone il problema di come accogliere questi sintomi in un discorso. Anche giustificando con artifici statistici la sorprendente crescita del numero di casi, resta da chiarire perché lo sguardo clinico spiega meglio questi sintomi. Bisogna aggiungere che l'autismo è il solo “disturbo” psichico per il quale la metafora che riduce il problema a un “disequilibrio chimico”, come nella depressione, viene rifiutato.
Le crisi di agitazione, d’angoscia, di chiusura in sé stessi, possono essere stimolate o calmate da terapie mediche appropriate, anche se nessuno sostiene di agire sulle cause. Da qui le speranze riposte in una causa genetica. Per ora non è tuttavia disponibile nessuna terapia medica specifica in usto senso. Che fare allora?
Alcuni pionieri ispirati dalla psicoanalisi, negli anni Sessanta, proponevano in diverse istituzioni un approccio che unisse metodi relazionali, giochi, attività e apprendimento. Le istituzioni e le loro combinazioni terapeutiche si rivolgevano a ogni genere di patologie. Nel 1987, Ivar Lovaas, in un interessante articolo, propose di concentrarsi su un metodo di ripetizione intensiva dei comportamenti semplici, e di riservarlo agli autistici. Questo tipo di intervento era fortemente strutturato dall’approccio del tipo ricompensa-punizione. Fu chiamato Analisi del comportamento applicato. In inglese, Applied Behavior Analysis (ABA). Non c'è nessun riferimento ad aspetti cognitivi. Il metodo ha incontrato negli USA un successo proporzionale al prestigio che, in questa area culturale,  viene riconosciuto all’approccio comportamentale. Non sono tuttavia mancate le obiezioni – e non solo da parte degli psicoanalisti – contro l’idea di estendere i metodi comportamentali, con il loro riduzionismo, allo “ spettro dei disturbi autistici”. Furono obiezioni etiche, tecniche ed economiche.
La finzione allestita nel film “Il muro” presenta le molteplici questioni poste dal trattamento dell’autismo come riducibili da una parte al confronto tra psicoanalisi e terapie comportamentali, e dall’altra parte al confronto tra la Francia, paese del passato, e gli Stati Uniti, paese del futuro. In Francia la psicoanalisi ostacolerebbe ancora la scienza, mentre negli Stati Uniti le terapie cognitivo-comportamentali sarebbero unanimemente riconosciute come il trattamento di riferimento. È una sorta di una finzione bifocale, ma falsa in ciascuno dei due fuochi.
In Francia i trattamenti dei soggetti autistici ispirati dalla psicoanalisi tengono conto dei progressi della scienza, utilizzano i farmaci adeguati, raccomandano l’inserimento dei bambini nelle istituzioni più adeguate e in un tipo di scuola dove l’apprendimento si possa adattare alle possibilità. Tali trattamenti si basano sulla necessità di interloquire in modo continuativo con questo tipo di bambini. Occorre dire loro qualcosa, senza far tuttavia pressione in modo eccessivo. Sono trattamenti che mettono l’accento su un approccio relazionale, a partire dai segni d’interesse manifestati dal bambino. Non si tratta di una stimolazione-ripetizione eguale per tutti, ma di una sollecitazione fatta su misura. Si tratta di un approccio bottom up, e non top-down. Le istituzioni dove è possibile tale approccio sono troppo poche in Francia. Tale scarsità va nel senso contrario a quello del cosiddetto “dominio ideologico” rimproverato alla psicoanalisi. Per questa ragione molti bambini francesi vengono mandati in Belgio, dove ci sono istituzioni sufficienti per accoglierli. Le autorità di tutela considerano che esse danno risultati che le collocano al rango delle migliori della disciplina. Esse vengono finanziate dall’equivalente della previdenza sociale.
Negli USA i trattamenti comportamentali sono fatti oggetti di numerose obiezioni e incontrano diversi limiti: etici, economici e legali. L’obiezione etica concerne il numero e l’intensità delle punizioni che è necessario infliggere per rompere l’isolamento del soggetto. Qual è un prezzo accettabile per innestare un comportamento ripetitivo in un soggetto così chiuso in se stesso? Alcuni operatori che applicano il metodo ABA sono stati fatti segno di svariate lamentele per “comportamenti non etici” verso alcuni bambini. Fin dove è possibile trasformare i genitori in educatori intensivi dei loro bambini? Alcuni lo hanno fatto fin allo stremo, provocando una sorta di burn-out genitoriale.
In Canada, paese particolarmente sensibile alla protezione delle comunità, le obiezioni sono arrivate al punto di considerare l’imposizione di simili comportamenti come un attentato ai diritti del soggetto autistico in quanto tale. Bisogna partire dall’autismo, per concepire modi appropriati di apprendimento, e per non imporre forme semplicemente ripetitive di apprendimento. Tra le due posizioni estreme, gli USA e il Canada presentano tutta una serie di approcci misti che tendono a distanziarsi da tecniche rigide, assimilabili a un ammaestramento, per sollecitare le particolarità del bambino in tutta l'ampiezza dello spettro autistico. Negli USA, le tecniche ABA sono considerate piuttosto superate.
Ci sono anche obiezioni economiche. Mentre i risultati dell’apprendimento intensivo stentano a durare al di là dello quadro stretto in cui sono somministrati, il metodo presuppone l'impiego di un educatore individuale a tempo pieno. Il costo di un trattamento standard è quindi stato valutato in 60000 dollari l’anno. Le associazioni di genitori convinte di tali metodi hanno cercato di farli rimborsare dagli Stati che, negli USA, sono già carichi di spese sanitarie. Sollecitata in tal senso, la California ha rifiutato questo rimborso, e anche, in Canada, l’Ontario.
La fiction “Il muro”, con le sue semplificazioni polemiche, fa dimenticare la pluralità dei punti di vista prodotti dalla complessità del problema dell’autismo. Questa pluralità si ritrova nei commenti provocati dal finto documentario. Il giorno stesso, il quotidiano “Le Monde” e il suo supplemento erano su lunghezze d’onda molto diverse, per non parlare di altri giornali. La realizzatrice del “Il muro” evocava la simpatia dei giornalisti verso una di loro, presentatasi come vittima della censura. La stessa persona si proponeva anche come documentarista, pur avendo avuto una vocazione tardiva, e come studentessa di psicoanalisi delusa. Era insomma dappertutto.
Nel supplemento di "Le Monde” una giornalista che, fino a quel momento, non si era mai occupata di questioni di salute mentale, è stata sedotta dalla tesi del filmato. La psicoanalisi non trova più grazia con lei, e quando uno degli intervistati del film le propone esattamente le tesi che lei stessa difende, trova che abbia un “atteggiamento arrogante”. Nel giornale invece, Catherine Vincent, più agguerrita, fa riferimento alla pluralità degli approcci, all’”appello dei 39” e sostiene come sia necessario un eclettismo. Nell’”Herald Tribune” un articolo riprende la storiella Francia-USA e s’inscrive nella fiction proposta. Nel frattempo si andava precisando la parte americana della storia, e la realizzatrice annunciava la sua presenza a Philadelfia al congresso ABA, giovedì 26 gennaio, dove auspicava di presentare il suo film, dopo un passaggio a New-York. Possiamo dubitare che il suo metodo sia in grado di convincere chicchessia, salvo gli adepti del “ French bashing”. Negli USA, la differenza di opinioni è troppo radicata. La sentenza del Tribunale mette in luce le cattive procedure utilizzate dai partigiani di una causa che, apparendo loro buona, ha giustificato ai loro occhi l'uso di qualsiasi mezzo. L’avvocato della realizzatrice e della società di produzione menzionando Michael Moore nella dichiarazione di procedere in appello, rimanda solo alla fiction Francia-USA. Come prima prova da documentarista, la nostra polemista deve portare una maschera un po’ pesante.

Eric Laurent


Traduzione di Marco Focchi

mercoledì 15 febbraio 2012

Autismo e psicoanalisi






Pubblichiamo le dichiarazioni dell'"Istituto psicoanalitico del bambino" in merito alla recente polemica scoppiata intorno al caso dell'autismo. La questione riguarda tutta l'Europa, dove i nostri colleghi in Spagna, in Francia, come noi qui in Italia, si sono trovati ad affrontare proposte di legge o linee guida degli istituti sanitari nazionali miranti ad escludere le psicoanalisi da trattamento dell'autismo. Questa è la punta emergente di una battaglia culturale e politica di portata molto ampia, che vede convergere le forze dello scientismo dominante e delle burocrazie amministrative attuali contro le forme d'espressione e di cultura che resistono alla riduzione della soggettività a mero oggetto di calcolo.

La posizione dell'Istituto psicoanalitico del bambino sul problema dell'autismo

Negli ultimi mesi l’Istituto psicoanalitico del Bambino è venuto a 
conoscenza di una strana campagna che mira a escludere la psicoanalisi dalla 
presa in carico di bambini e adolescenti autistici. Questa campagna culmina 
ora con una proposta di legge che ha mobilitato tutti i rappresentanti 
professionali[1] e le più grandi associazioni dei familiari (UNAPEI).

La suddetta campagna è il risultato di un intenso lavoro di lobbismo che 
adduce le intenzioni più lodevoli: migliorare le condizioni di una categoria 
della popolazione. Infatti, si tratta per i suoi promotori di ottenere dai 
poteri pubblici delle sovvenzioni massive a beneficio dei metodi di 
condizionamento, in modo da offrire delle soluzioni ready-made alle 
famiglie, che cercano con inquietudine delle soluzioni laddove c’è una reale 
penuria di accoglienza istituzionale.

L’Istituto psicoanalitico del Bambino riunisce degli psicoanalisti, degli 
operatori di istituzioni specializzate – psichiatri, psicologi, infermieri, 
ortofonisti, psicomotricisti -, dei professionisti del campo infantile – 
insegnanti, educatori, giuristi, medici… - che operano da molti anni con 
bambini che soffrono, orientandosi a partire dalla psicoanalisi, di Freud, 
di Lacan e dalle avanzate più recenti della ricerca clinica.

È a questo titolo che l’Istituto psicoanalitico del Bambino, attraverso la 
sua Commissione di iniziativa, vuole prendere posizione. Si tratta qui di 
testimoniare dei principi che governano la nostra azione.

1 – Ricordiamo che in Francia, a partire dagli anni ‘60-‘70, sono gli 
psichiatri infantili e gli psicologi formati alla psicoanalisi che iniziano 
a preoccuparsi della sorte dei bambini autistici, fino a quel momento 
collocati negli ospedali psichiatrici o in istituzioni chiuse, in cui la 
dimensione deficitaria era preponderante. Essi trovano appoggio negli 
psicoanalisti anglosassoni Frances Tustin, Margaret Malher, Donald Meltzer, 
e nell’istituzione di Maud Mannoni “la Scuola sperimentale di Bonneuil”, con 
il lavoro di Rosine e Robert Lefort, allievi di J. Lacan. L’insieme di 
questi lavori offre agli operatori – psichiatri, psicologi, infermieri, 
educatori, ortofonisti, psicomotricisti – l’idea di un trattamento possibile 
e di un’esperienza pratica che tengano conto del sintomo del soggetto, al di 
là della coercizione.

In questa prospettiva si creano i centri diurni, nel movimento di 
settorializzazione della psichiatria. Si tratta di offrire un’accoglienza 
che non sia basata sul deficit e che tenga conto della particolarità del 
soggetto. La situazione familiare fa parte di questa particolarità, poiché 
le costellazioni familiari sono lontane dall’essere tutte identiche. I 
genitori vengono accolti, ascoltati. I bambini, gli adolescenti, sono 
inseriti in piccoli gruppi, stimolati attraverso diversi 
“atelier-laboratori” in cui possono declinarsi i loro interessi. Nei 
momenti del pasto, del gioco, dello studio, sperimentano nuovi rapporti con 
gli oggetti e con le domande, con ciò che struttura il mondo di ogni 
bambino, ma da cui i bambini autistici si difendono.

2 – Questa lunga esperienza di diagnosi, di accompagnamento delle famiglie, 
di messa in opera di percorsi tessuti in modo particolare per ognuno, è 
stato oggetto di numerose pubblicazioni e di raccolte di lavori. Essa non 
avrebbe potuto sostenersi senza il riferimento quotidiano alla psicoanalisi, 
al suo corpus testuale, al suo vivace insegnamento.

Come situare oggigiorno il posto della psicoanalisi nel trattamento del 
bambino autistico? Proponiamo cinque assi di risposta:

- La formazione analitica, ovvero l’esperienza di una psicoanalisi 
personale, offre agli operatori un potente strumento per situare la loro 
azione presso i soggetti autistici alla giusta distanza, aiutandoli a tenersi distaccati
dagli ideali di normalizzazione o di normalità incompatibili con l’accompagnamento 
professionale di soggetti sofferenti.

- Il rispetto della posizione del soggetto è la bussola che orienta, in 
effetti, quest’azione. Non si tratta in nessun caso di lasciare il bambino, 
l’adolescente, preda, per esempio, delle sue stereotipie, delle ripetizioni, 
delle ecolalie ma, considerando questi fenomeni come un primo trattamento elaborato dal bambino 
per difendersi, si tratta piuttosto di introdurvi, discretamente, elementi nuovi che vanno 
a complessificare “il mondo dell’autismo”.

- La posta è innanzitutto che per il bambino possano localizzarsi l’angoscia o 
la perplessità generate in lui dall’essere interpellato da un altro, e dalla 
messa in gioco delle funzioni del corpo nel loro legame con questa domanda, funzioni che riguardano
nutrirsi o lasciarsi nutrire, perdere gli oggetti urinari e anali, guardare 
essere guardato, ascoltare e farsi ascoltare. Gli psicoanalisti da 
parecchio tempo hanno notato una varietà di rituali d’interposizione che constano di 
numerosi tratti sintomatici invalidanti. La creazione o la scoperta da parte 
del bambino di un “oggetto autistico”, qualunque ne sia la forma, è spesso 
una risorsa feconda per creare legami e spazi nuovi, liberi 
dalle costrizioni “autistiche”.

- Gli psicoanalisti non contestano in alcun modo l’inscrizione dei bambini 
autistici nei dispositivi d’apprendimento. Al contrario, mettono in risalto il fatto
che il soggetto autistico è spesso già “al lavoro”. Gli autistici cosiddetti 
“ad alto funzionamento” dimostrano in questo ambito un consistente investimento 
del pensiero, del linguaggio e del campo cognitivo, in cui trovano 
risorse inedite. Più in generale, per tutti i bambini, gli operatori cercano 
di privilegiare gli approcci pedagogici ed educativi più adeguati, 
per fare posto alle singolarità sociali e cognitive dei bambini autistici. 
Insegnanti ed educatori testimoniano, all’interno dell’Istituto 
psicoanalitico del Bambino, quel che hanno elaborato con il bambino o l’adolescente.

- In compenso gli psicoanalisti si oppongono con grandissima forza ai metodi cosiddetti “d’apprendimento intensivo”. Questi sono in realtà
metodi di condizionamento comportamentale che utilizzano massicciamente il 
lobbysmo, ovvero l’intimidazione, per promuovere “prese in carico” 
totalitarie e totalizzanti che si autoproclamano l’unico trattamento valido 
dell’autismo. Lungi da questo riduzionismo, occorre differenziare i diversi 
approcci dell’apprendimento. Gli psicoanalisti e gli operatori, raggruppati 
all’interno dell’Istituto psicoanalitico del Bambino, rappresentando tutte 
le categorie professionali presenti nel campo dell’infanzia, si dichiarano 
particolarmente legati, per i bambini e gli adolescenti autistici, ai 
sistemi di cura e di educazione esistenti in Francia, fintantoché essi 
permettono di suddividere le rispettive e differenziate responsabilità fra i 
professionisti della cura, dell’educazione e i genitori.

3 – Le classificazioni attuali dei disturbi mentali – in particolare il 
DSM – gettano una grande confusione nel dibattito, facendo apparire sullo 
stesso livello diagnostico sintomi dell’infanzia quali la balbuzie o l’enuresi, 
“disturbi” riferiti a una normalità sociale (quali i “disturbi oppositivi 
provocatori” o i “disturbi del comportamento”) e l’autismo (“disturbo 
autistico”). L’autismo, e le sue diverse forme, risulta così isolato come l’unico 
vero e proprio quadro clinico della categoria “Disturbi pervasivi dello 
sviluppo”. I dibattiti in corso sulla continuità dello “spettro autistico”, 
sull’opportunità di mantenere nella stessa serie dei disturbi pervasivi 
dello sviluppo (PDD) i cosiddetti “Asperger”, mostrano quanto tale categoria 
sia instabile. All’interno di tale “spettro”, occorre esaminare nel 
dettaglio i fenomeni d’invasione del corpo e collocare le manifestazioni 
strane e inquietanti di cui esso è preda. Gli psicoanalisti e i numerosi 
operatori d’orientamento lacaniano accompagnano così molti bambini e 
adolescenti in questa elaborazione, che permette loro di mantenere o di 
trovare un posto nel legame sociale e familiare. I genitori, grazie a questo, possono 
autorizzarsi a parlare di alcuni tratti del loro figlio, possono coglierne il 
valore, nonostante il carattere strano di questi tratti. Tale lavoro è necessariamente 
lungo, giacché presuppone il fatto di prendere in causa una differenza del bambino 
che va contro le attese e i desideri che circondano la sua presenza al 
mondo. Lo psicoanalista, in posizione di raccogliere tale sofferenza, deve 
essere attento alla sofferenza dei genitori e sostenerli nella loro prova.

4 –Molteplici ipotesi eziologiche – genetiche, vacciniche, neuro 
cognitive, ecc. - presentate come verità scientifiche spesso in base soltanto
a un unico articolo pubblicato su una rivista, del cui carattere distorto si verrà a conoscenza 
solo qualche mese o anno dopo – circolano nei media e 
sconvolgono le famiglie. Queste ipotesi causali corrispondono strettamente alla 
riduzione dell’autismo a un disturbo dello sviluppo, presentato come una 
malattia genetica se non addirittura epidemica. Esse si avvalorano della 
legge del 2005 sull’handicap, che pure non mira in alcun modo ad affermare qualcosa del tipo: “È un handicap, dunque non è una malattia”, ma permette un 
orientamento adeguato per il bambino e un aiuto per la famiglia. Molto su questo 
punto resta da fare, e le associazioni dei genitori sono una forza 
indispensabile e imprescindibile per far avanzare progetti adatti, in 
particolare per i bambini più piccoli, per gli adolescenti e per i giovani 
adulti. In questo senso, l’annuncio che l’autismo è una grande causa nazionale 
può solo rallegrare tutti coloro che sono mobilitati per prendersi cura 
dei bambini e degli adolescenti autistici.

5 – Gli psicoanalisti seguono tutti i dibattiti scientifici sulle 
cause dell’autismo infantile. Qualunque siano le cause, queste non possono ridurre 
il soggetto a una macchina. Gli psicoanalisti tengono conto delle sofferenze che 
incontrano e promuovono istituzioni e pratiche per garantire che il 
bambino e la sua famiglia saranno rispettati nel loro aspetto soggettivo. 
Facilitano, ogni volta che è possibile, l’inserimento del bambino in legami 
sociali che non lo destabilizzano. Non sono detentori di una verità 
“psicologica” sull’autismo, non sono promotori di un “metodo educativo” 
particolare. Sono portatori di un messaggio chiaro per il soggetto 
autistico, per i genitori, e per tutti coloro che, in istituzione o nell’accoglienza 
individuale, hanno deciso e fanno la scommessa di accompagnarli- e gli 
psicoanalisti sono tra questi. È possibile costruire un altro mondo 
rispetto al mondo della difesa e della protezione in cui è chiuso il bambino 
autistico. È possibile costruire una nuova alleanza tra il soggetto e il 
suo corpo. Lo sforzo di tutti mira a dimostrare clinicamente questa 
possibilità.



La Commissione d’iniziativa dell’Istituto psicoanalitico del Bambino

: Judith Miller (Parigi), Dott. Jean-Robert Rabanel (Clermont-Ferrand), 

Dott. Daniel Roy (Bordeaux), Dott. Alexandre Stevens (Bruxelles).



Traduzione di Beatrice Bosi, Pierangela Pari, Adele Succetti, Monica Vacca

. Revisione di Rosanna Tremante

martedì 31 gennaio 2012

Che cos'è un caso clinico in psicoanalisi?










Conferenza tenuta il 14 gennaio 2012 presso lIstituto freudiano di psicoanalisi


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Che cos'è un caso clinico in psicoanalisi