lunedì 5 novembre 2018

Lo spazio pubblico

Presentazione del dibattito tenuto il 21 settembre 2018 presso la sede milanese dell'Istituto freudiano sul tema "Lo spazio pubblico"
di Marco Focchi

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Lo spazio pubbllico

giovedì 1 marzo 2018

Il delirio della famiglia normale: Schreber e i suoi congiunti

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sabato 20 gennaio 2018

Eresia e ortodossia




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giovedì 14 dicembre 2017

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 2 Dicembre 2017. Docente invitato: Daniel Roy

SEMINARIO Libro VI,  “Il desiderio e la sua interpretazione”

Questo seminario è un oggetto particolare, è un vero e proprio «mattone»; questo contrasta fortemente con il suo oggetto, il desiderio, «uccello celeste», «furetto» impossibile da catturare come potrà indicare Lacan in numerose occasioni.
È ben questa la posta in gioco di una analisi: come permettere all’analizzante di assumersi come soggetto della sua enunciazione al livello del desiderio inconscio del quale, come nevrotico, si difende. E come si difende? Lacan precisa che «l’essenza della nevrosi consiste molto precisamente in questo […] che ciò che è dell’ordine del desiderio s’inscrive, si formula, nel registro della domanda» [p. 149, ed. orig.]. È qui dunque che la nevrosi si rivela per ciò che è, passione del significante, nella misura in cui la domanda, che è il medium di ogni messa in gioco di significanti, è al contempo per il nevrotico la via d’accesso al desiderio e la trappola nella quale è catturato, costretto all’impotenza mascherata da impossibilità, sottratto a ogni soddisfazione, dunque alla sua libera circolazione.
L’operazione dell’analista, commisurata unicamente in termini di «interpretazione», consisterà così nel diffrangere la domanda del soggetto che viene a parlare in analisi a partire da ciò di cui si lamenta, di sdoppiarla in domanda che si articola e s’inscrive in un discorso preso in una intenzione di significazione, e domanda che va ad articolarsi nel registro dell’Altro nei termini che sono presi in un’intenzione di godimento, di soddisfacimento, zavorrati della forza pulsionale del suo essere vivente.
L’interpretazione opera in questo sdoppiamento tra la dimensione del discorso, dell’enunciato che fa esistere un soggetto che «vuole dire» qualche cosa, e la dimensione di un Altro discorso, quello dell’inconscio che fa esistere un altro soggetto che non sa quello che vuole e che tuttavia si trova improvvisamente convocato a rispondere col suo essere di vivente sessuato alla questione di ciò che desidera. Poiché è in questo movimento che sorge il desiderio, come momento dove il soggetto deve rispondere, tramite le condizioni che gli sono state date dall’Altro, a una sfida che sfugge precisamente a questo Altro, in un punto, come indica Lacan nel Seminario VI, «dove l’Altro non sa».
È questo movimento che esegue Lacan nella costruzione del suo grafo, è ciò che si effettua in questo seminario, ed è in questi termini che, in quest’epoca, Lacan considera sia possibile svolgere un’analisi nel corso della quale il nevrotico potrà spostare il proprio desiderio dal campo della domanda per percepire «realmente» [p. 56, ed. orig.] l’oggetto del suo fantasma, fantasma sul quale il suo desiderio si regola.

I primi due capitoli si presentano come un programma, quello che Lacan fissa per questo anno 1958-59, dopo il suo seminario su Le formazioni dell’inconscio nel quale aveva costruito il suo grafo, che diverrà definitivamente il grafo del desiderio in questo nuovo seminario (lo presenta già così nel seminario V [Cap. XXI, p. 392, ed. orig]). La posta in gioco per Lacan è ristabilire la nozione di desiderio nell’esperienza analitica, là dove dominavano nozioni vaghe come «affettività», «i sentimenti positivi e negativi», ecc. Noi lo comprendiamo bene oggi poiché siamo invasi dal ritornello sul «vivere le proprie emozioni», «ritrovare le proprie sensazioni», «la fiducia in sé stessi»…
Vediamo come introduce questa questione:
-si dice che la psicoanalisi è una «terapia», quindi un mezzo di guarigione;
-io Lacan, dico che è un «trattamento psichico»: cosa vuol dire? Si tratta forse di trattare lo psichico? È un trattamento dove il mezzo è psichico?
Allora, precisa:
-è un trattamento che riguarda dei fenomeni marginali e residui della vita psichica (sogni, lapsus, motti di spirito) e fra questi, alcuni s’isolano in quanto «sintomi», che Lacan definisce in termini d’inibizione (vediamo Amleto all’orizzonte). Oggi noi non metteremo in primo piano l’inibizione per parlare invece dei sintomi, di tutte le modalità di esagerazione, di passare oltre il limite, «non posso evitare di …». Ed è piuttosto significativo considerarli come « residui » della vita sociale, dei discorsi padroni e del trionfo degli oggetti. E in fondo, la psicoanalisi non si propone affatto di fronte a questi fenomeni di margine come una terapia, ma al contrario come una modalità di trattamento possibile. Questo seminario sul desiderio, che ne mette in valore posto nella nevrosi, si presenta così oggi per noi come «un preliminare a ogni trattamento possibile dei fenomeni marginali» che fanno sintomo nel sociale: dall’ADHD, alle dipendenze, passando per PTSD.
-è un trattamento che ha lo scopo di modificare la struttura di difesa che caratterizza la nevrosi, difesa contro il desiderio inconscio, nel quale l’operatore sarà precisamente il desiderio stesso. Ecco uno stranissimo trattamento che tratta la difesa contro il desiderio attraverso il desiderio. Com’è dunque possibile?
La risposta di Lacan è la seguente: di fronte al desiderio impedito, inibito, vietato, censurato, del nevrotico, si tratta di restituire il posto a questo desiderio e, così facendo, alla sua autentica funzione d’energia libidica. 
E per far questo, bisogna che la psicoanalisi si determini sull’interpretazione che darà quando appariranno queste zone di difesa nel discorso dell’analizzante, per liberare il desiderio dai suoi ostacoli. Occorre interpretare il soddisfacimento rifiutato, inibito, o l’oggetto fuori portata, troppo vicino o troppo lontano? Il desiderio è sempre legato alla sua interpretazione e l’interpretazione, come atto dell’analista, è sempre legato alla concezione che questi ha degli obiettivi del trattamento analitico: riconciliazione con un buon e saggio godimento; felice sposalizio con l’oggetto d’attrazione? Lacan precisa [p.18 ed. origr.] che la psicoanalisi ha a disposizione, attraverso la sua esperienza, concetti che fanno a pezzi tali intenti idealizzanti: da un lato la pulsione che diffrange il godimento in molteplici frammenti, pezzi di godimento, dall’altro il fantasma che lega il soggetto a un oggetto singolare precisamente caratterizzato, ma del quale il soggetto nevrotico si mantiene a distanza nella sua esistenza.

E Lacan sottolinea che se c’è effettivamente un’energetica del desiderio da rilanciare nella cura, questa ha un solo e unico punto d’appoggio, la parola del soggetto. La costruzione del grafo di Lacan non è null’altro che la costruzione della macchina significante del desiderio così come s’effettua nella cura.
Una cura analitica funzione come un «mulino a parole» [p.22 ed. orig.], allo stesso modo di un mulino ad acqua. In un mulino ad acqua, il flusso del fiume fa girare la ruota a pale che, per mezzo di diversi meccanismi, trasforma questa energia in energia meccanica, che attiva la mola, che va a macinare i grani di frumento o le olive. Nel mulino a parole che è la cura, il flusso della parola attiva la ruota a pale (l’Altro) per dare del significante da macinare (il messaggio) alla mola del desiderio.
Ed eccoci, con questa metafora, nel primo tempo della costruzione del grafo. Siamo qui molto facilitati, nella nostra presentazione, dal fatto che Lacan aggiunge delucidazioni preziose nel secondo capitolo. In questo capitolo Lacan indica «la simultaneità delle quattro traiettorie» che strutturano il grafo.

  1. Il soggetto passa sotto le strettoie dell’ordine significante: «tu hai tenuto conto del tuo incontro con l’Altro che parla e tu ne porti la marca I(A) ».
Delta designa in questo schema «il soggetto del bisogno», soggetto supposto dirà Lacan differente dal soggetto parlante. Si deve sottolineare che dal momento in cui si è inscritti nella domanda, è il bisogno che diviene supposto, e così per l’essere parlante il bisogno è sempre secondo in rapporto al campo della domanda, ed è sempre sotto la dipendenza dell’interpretazione dell’Altro («fare del grido appello»: hai fame? sete? male? fai un capriccio ?ecc…), che ascolta un desiderio. Cosa resta del bisogno, si domanderà Lacan? Una condizione assoluta che si deposita nel carattere imperativo della domanda che risuona nella voce e nella singolarità delle condizioni del desiderio.
Questo tempo è importante in quanto sottolinea il «tempo della parola» come legame tra la sincronia dei significanti nel codice (l’Altro come tesoro dei significanti) e la diacronia dei significanti nella catena della domanda. Come afferma Lacan: la solidarietà sincronica del codice assicura la solidità dell’affermazione diacronica della domanda. Nel codice, i significanti sussistono insieme, non esistono che come differenti gli uni dagli altri (il dizionario), possono dunque essere detti solidali. Ebbene Lacan afferma che è questa solidarietà che contamina la domanda primaria, quella prima di ogni forma di risposta del soggetto (detto «primo»). Nella misura in cui il soggetto si costituisce attraverso il suo passaggio nei significanti dell’Altro, «le strettoie», vi si aliena come a qualcosa di consistente, vi crede, ma facendo ciò fa consistere la domanda come una «formula», un oracolo, donandogli come una «oscura autorità» (da qui l’importanza che si sollevi la questione del desiderio di questo Altro: cosa vuole da me?).
All’inverso, nel movimento inaugurato per costituire l’interpretazione del soggetto che costituirà «il messaggio», i significanti non circolano sotto questa forma «locale» ma in modo «frammentato», cioè con le caratteristiche proprie al loro codice.
Pensate al bambino piccolo che impara a parlare e che gioca con le parole deformandole, ritessendole a modo suo, è già un modo di diffrangere la dimensione sempre imperativa di ogni domanda, di introdurre del gioco di fronte all’onnipotenza dell’Altro.
Ma la soluzione che Lacan indica in questo capitolo è quella designata come «identificazione con l’Altro onnipotente della domanda», un’identificazione attraverso un significante che nell’Altro designa l’autorità dell’Altro, è la matrice dell’Ideale dell’io come luogo di solidità e di solidarietà: luogo in cui possiamo assicurarci della stabilità di un discorso comune e della solidarietà degli elementi che lo compongono (luogo ideale poiché consistente e completo). Lacan ce lo fa scoprire nominando ciò che si opera in questa identificazione come «funzione rivelatrice», un’azione simbolica di «rivelazione». Rivelazione dell’alterità dell’Altro. Lacan illustra questo punto attraverso il gioco del «cucù» che la madre istituisce con il suo piccolo: 1) la frammentazione della presenza fa esistere l’assenza 2) il sorgere della presenza sul fondo dell’assenza («cucù» che scatena il sorriso) 3) l’instaurarsi del gioco, dove l’assenza e la presenza non sono più subiti ma desiderati (il riso).
Là dove v’era alternanza subita, del più e del meno, questa è sussunta attraverso una funzione d’ordine simbolico che trasforma assenza e presenza come qualcosa che può essere scelto e desiderato. Questa è la funzione di rivelazione, tale e quale appare nella Bibbia, svelamento di ciò che è nascosto, esilio del divino in sé e dispiegamento fuori di sé. Intendiamo qui degli elementi che entreranno successivamente nella funzione del fallo, che indica il punto in cui l’Altro manca.

  1. Eccoci già nella costruzione del secondo piano del grafo, concernente il soggetto che assume l’atto di parlare [p.44, ed. orig.]; non è più solamente la linea della domanda, la linea dell’enunciato, che è sempre «dell’Altro» poiché costituito di significanti prelevati nell’Altro, è la linea dove si pone la questione della scelta dei significanti, di una decifrazione che si pone la questione: da dove vengono questi significanti?
Da qui s’inaugurano tre tragitti:
-la linea orizzontale in alto che è quella in cui si sostiene il soggetto dell’enunciazione, colui che è in questione in un’analisi, dal momento che la linea orizzontale in basso permette di situare solo il soggetto dell’enunciato, il «Je» che appare nella frase e che è un significante come un altro, allorché l’altro «Je» risulta dall’articolazione significante in quanto  «atto di parola». Questo «Je» è quello che si fa responsabile di ciò che si dice, che si pone nelle conseguenze di ciò che si dice; non solamente di ciò che dice, ma di ciò che si dice che lo interessa e che lo concerne. È tutta la dimensione dell’operazione analitica. Il soggetto e l’Altro sono presi nell’arco di un’altra funzione simbolica che Lacan nomina in questo seminario «la funzione vocativa» dove prende a prestito ugualmente la formula al discorso del Vangelo: «Alzati e cammina!».
-l’esplorazione della struttura dell’Altro: che l’Altro, e dunque il soggetto, possa scegliere i significanti che lo rappresentano indica la presenza in questo Altro di due principi: il principio di commutatività, che apre il campo della metafora e dunque della moltiplicazione di significanti («tu hai il diavolo in corpo»), e il principio di similitudine, che apre il campo della metonimia, che gioca con la prossimità della forma, della sonorità, dei significanti per produrre l’effetto «poetico» («la Terra è blu come un’arancia»).
-il desiderio dell’Altro: le due operazioni precedenti sono sottese attraverso quest’ultima che            è quella che conta. Mi dice questo, ma cosa vuole? Questa domanda si esplora in una analisi, si attualizza nel transfert; ma, fondamentalmente, il soggetto viene in analisi perché in un punto preciso è sorta la questione del suo desiderio, e per Lacan la questione del desiderio si formula in italiano «Che vuoi?», «La questione di che cosa voglia è posta all’Altro» [p. 25, ed. orig.]. È veramente a livello del “Che vuoi?” che possiamo dire che il soggetto riceve dall’Altro il suo messaggio sotto una forma inversa.
Si tratta in fondo di allentare la morsa nella quale si trova preso il soggetto e il suo desiderio, la morsa che si forma ogni volta che ripieghiamo l’enunciazione del soggetto sull’enunciato.
Il transfert è innanzitutto un’operazione che riguarda l’Altro, è un’operazione di frammentazione dell’Altro attraverso la questione del desiderio. Frammentazione dell’Altro vuol dire qui che negli enunciati, sulla linea della domanda, s’isolano dai significanti che contano per il soggetto, quelli che hanno preso valore di godimento, quelli di fronte ai quali, dirà Lacan, il soggetto si è trovato in fading, diviso: è il punto che Lacan designa come luogo del tesoro dei significanti, il luogo in cui si contano secondo il loro valore pulsionale. 
Questo «transfert» di un significante della linea dell’enunciato sulla linea dell’enunciazione è presentato da Lacan come «una metonimia dell’essere» [p. 34 ed. orig.] il cui nome è il desiderio, che s’inscrive ora sulla linea intermedia. Ciò che, del suo essere vivente, non può iscriversi nel significante, che gli rinvia solamente una divisione soggettiva, trova rifugio in questo intervallo fragile, sempre minacciato di ripiegarsi sulla domanda. Il fantasma si presenta qui come un angolo che impedisce questa chiusura, come un osso nella ricerca dell’ideale da presentare all’Altro.
È questo osso che Lacan introduce allo stesso modo nella teoria e nella pratica analitica formulando questo nuovo avanzamento: il desiderio si regola sul fantasma e non sull’oggetto.
Il diavolo innamorato di Jacques Cazotte ci fornisce una bellissima metafora.
Noi vediamo articolarsi questo doppio movimento che Lacan nomina terza tappa della costruzione del grafo: di fronte al desiderio dell’Altro, il soggetto è hilflos, inerme. Cosa avrà da offrire? Come far fronte? Si difende, dice Lacan, col suo io, e più precisamente interponendo la relazione immaginaria, luogo delle relazioni di prestanza, di sottomissione o di fallimento. Qui [p. 30 ed. orig.] Lacan opera uno spostamento: non si tratta solamente di giochi di specchi, ma della posizione del soggetto in un rapporto «flessibile con l’altro». E così il luogo di uscita, il luogo di riferimento del desiderio va a fissarsi sul fantasma, che inscrive questo rapporto flessibile del soggetto all’altro.
Ciò che il soggetto non vede, ciò a cui è cieco, è che questa scenografia immaginaria nella quale crede poter reperire il proprio desiderio non è che un montaggio, del quale lo sceneggiatore è l’inconscio, dove i significanti zavorrati della forza della pulsione erigono gli assi sui quali la scena della sua vita si svolge [p. 54 ed. orig.]. Il momento in cui qualche cosa del discorso dell’essere viene a disturbare il messaggio a livello della domanda è il sintomo analitico, è su questo punto di «disturbo» che si concentra l’interpretazione.
Ma non dimentichiamo «il piano ammezzato» che Lacan situa nella retro-azione della conclusione del processo in I(A): è il momento nel quale l’io si pone di fronte la stretta dell’Es nella domanda, momento in cui si scatena il Super-io, «discorso primitivo, puramente imposto e marcato da una profonda arbitrarietà, che continua a parlare». Resterà allora da mettere questo Super-io alla prova delle sue radici pulsionali, del suo godimento che vocifera per bucarne il rigonfiamento, in X.

Per Alvare, gli assi portanti del simbolico restano al loro posto fino alla fine, persistendo accanto alle illusioni nelle quali è preso, portato dal suo desiderio «Biondetta» del quale ha dimenticato l’origine: nato dalla questione che indirizza all’Altro del sapere e all’Altro che detiene il godimento. In questo posto Biondetto/Biondetta svolge la sua parte l’oggetto d’attrazione per il suo desiderio, dapprincipio sempre irraggiungibile, che si sottrae, che fallisce, illustrando bene il posto di sostituto imaginario di S barrato: Alvare è piuttosto mal posizionato-mal barrato.

Possiamo domandarci qual è l’attualità di occuparsi nello studio di questo grosso volume che raccoglie delle concezioni di uno psicanalista degli anni 58-59 del secolo scorso. La questione del desiderio è ancora attuale? Si ma è un desiderio «modulo» godimento: so ciò che voglio ma non ne godo, oppure è quello ciò che voglio ma è troppo invadente come godimento. Per esempio questa giovane ragazza, analizzanda in erba, che si presenta come direttrice di una start-up che mette in valore le specificità delle donne nell’azione pubblica, certa di avere trovato qui la giusta espressione della sua rivolta contro il padre e il suo sostegno alla causa persa della made e che, d’altro canto, ha incontrato il suo «punto di panico» nella messa in atto della libertà sessuale rivendicata e contrattualizzata nella sua relazione di coppia, facendosi oggetto sessuale per un uomo dagli incontri fortemente idealizzati. 
Da un lato lei mi presenta una scultura del suo io pienamente consistente, nella quale cristallizza un desiderio di emancipazione femminile, dall’altro lato si precipita a testa bassa nel suo fantasma, nel momento in cui diviene madre e in cui «stabilisce» una vita familiare.
Niente di questi due aspetti fa enigma per lei, si lamenta di non godere a sufficienza dal suo successo sociale, o piuttosto che altri siano suscettibili di goderne più di lei, e lei teme di godere troppo di questo incontro sessuale che la spaventa.
Gli enigmi del piacere impallidiscono di fronte all’esigenza del godimento! La domanda è allora essenzialmente una domanda di coaching, management del desiderio per ottimizzare i godimenti.
E ciò che si presenta in una esperienza individuale ha il suo corrispondente nel collettivo sulla forma d’un management dei desideri perché si regolino sull’economia dei godimenti: management degli Stati per fare in modo che i desideri trovino i loro corrispondenti in termini di godimento legittimo, management dei mercati per i godimenti « in più», per i plusgodere, management delle reti parallele diversamente mafiose per il regolamento dei godimenti illegittimi, delle droghe e della pornografia fino al traffico di corni di rinoceronte!

Traduzione di Andrea Aldrovandi

Revisione di Giuseppe Perfetto