giovedì 14 marzo 2013

La cura attraverso il sintomo





 Conferenza tenuta a Vigo il 23 febbraio 2013 nell'ambito della ELP


Nell’ultimo insegnamento di Lacan, quello della decade degli anni settanta, si apre una prospettiva clinica completamente nuova per la psicoanalisi, e più ci addentriamo nel suo studio più vediamo l’importanza e la congruenza che riveste rispetto ai fenomeni della clinica contemporanea. Il seminario in cui questa prospettiva appare con maggiore evidenza è il XXIII, tenuto nel 1975-1976. Si tratta di un testo complesso, di cui è impossibile dare una sintesi. Il corso che Miller, nel 2004-2005, ha dedicato al commento di questo testo porta infatti il titolo Pièces detachés, pezzi staccati, che corrisponde in effetti sia al contenuto concettuale, sia alla forma espositiva rapsodica, discontinua di questo seminario. 
Per trovare tuttavia un filo conduttore, possiamo considerare che il seminario presenta lo sviluppo di un tema la cui prima apparizione si vede in RSI, seminario  tenuto l’anno precedente, nel 1974-1975, ed è il tema di fondo che percorre tutto l’ultimo insegnamento di Lacan, quello del nodo borromeo. Il particolare sviluppo che appare nel seminario XXIII consiste nella definizione di un nodo a quattro anelli, dove il quarto anello è rappresentato dal sintomo. Considerare il sintomo a partire dal nodo borromeo permette a Lacan di ridefinirlo completamente rispetto alla sua precedente concezione, che lo presentava come una metafora.
C’è un punto significativo in questo procedimento che mi sembra meriti attenzione, ed è che attraverso un argomento matematico come il nodo borromeo – che è un capitolo della topologia – Lacan produce una nuova visione della clinica psicoanalitica.
Credo sia importante nel seminario XXIII mettere soprattutto  l’accento sull’aspetto che riguarda la clinica, e bisognerebbe capire come la matematica può essere uno strumento per produrre concetti clinici.
È nota la prudenza che Miller ha sempre avuto nel trattare i punti d’appoggio matematici che Lacan ha via via introdotto e l’uso che ne ha fatto. Nel 1999 si è tenuto a Cerisy un convegno sul tema: Le réel en mathématiques. Miller, che era tra i relatori, ha parlato chiaramente del tentativo di formalizzazione dell’inconscio condotto fa Lacan come di un sogno, è stato anche il suo titolo: Un sogno di Lacan. Il sogno sarebbe quello di cogliere il reale dall’inconscio attraverso la formalizzazione, trattando l’inconscio come un oggetto, ed eludendone il tratto essenzialmente di soggetto.
A Buenos Aires, nel 2008, Miller è tornato sull’argomento del rapporto tra la formalizzazione e la clinica dicendo, nella relazione conclusiva del Congresso, che la logica non è la scienza del reale. Questa affermazione a suo tempo mi aveva fortemente colpito, perché è l’esatto contrario di quel che afferma Lacan, per esempio nell’Etourdit,  o nel seminario XXI Les non-dupes-errent, dove sostiene esplicitamente che la logica è la scienza del reale. La lettura di Miller è che Lacan abbia affermato questa tesi per poi rifiutarla. Si tratta naturalmente di un’interpretazione forte, che circoscrive e limita il ruolo della matematica nella clinica.
Occorre quindi una certa cautela nel trattare quel che a volte si chiama la matematica lacaniana. Considerate, per esempio, che nel corso Pièces detachés il nodo borromeo non è esplorato in modo matematico. Il commento di Miller è dedicato piuttosto alle conseguenze cliniche che si possono trarre dalla ricerca di Lacan in quegli anni.
Vedrei quindi il lavoro di oggi in questa prospettiva, in questo quadro  e con queste premesse che mi sembra debbano fare da riferimento  preliminare per entrare nel merito di un commento della sesta lezione del XXIII. 
La prima domanda da cui farsi guidare dunque è quale cambiamento nella pratica clinica introduca la svolta che porta Lacan dal riferimento al paradigma della linguistica al riferimento al paradigma della matematica.
L’altro punto d’orientamento che vorrei tenere presente e da cui farsi guidare riguarda il rapporto tra la topologia e il tempo. Sapete che questo  è il titolo che Lacan dà al suo penultimo seminario e che, possiamo dire, resta un titolo, perché non c’è, nel seminario, un vero e proprio sviluppo di questo tema. Già il titolo propone però un accostamento piuttosto insolito, perché nella matematica in genere non c’è posto per il tempo, le verità della matematica sono atemporali, come le sue operazioni. Cosa collega dunque la topologia e il tempo? Tutto quel che Lacan ne dice è una frase nella prima lezione, dove afferma che c’è una corrispondenza tra la topologia e la pratica, e questa corrispondenza è il tempo. Il motivo per cui  c’è questa corrispondenza è che la topologia – secondo quanto sostiene Lacan – resiste. Il tempo è quindi la durata che si instaura per via della resistenza della topologia. 
 In questi stringati accenni mi sembra significativo il fatto che si profili una concezione sostanziale del tempo, che mette un accento diverso rispetto a quello presente nel testo classico di Lacan sul tempo logico, dove è valorizzato il tempo per concludere, che ha un carattere istantaneo, quasi puntuale. Articolando la topologia e il tempo invece Lacan mette in risalto piuttosto quel che sarebbe il tempo per comprendere, visto come una durata indotta qui dalla resistenza della topologia. Da un lato il tempo potrebbe essere considerato come il lampo di comprensione che scioglie il nodo, dall’altro si tratta invece di capire come il nodo si fa. La considerazione della matematica come articolata con il tempo è comunque un modo insolito di trattamento della matematica, che ci dice, secondo me, come non si tratti di matematica applicata, ma piuttosto dell’esportazione di concetti matematici in un campo diverso, quello della clinica, con le trasformazioni che ne derivano. 
Consideriamo la prima fase dell’insegnamento di Lacan, che prende avvio con l’assioma fondamentale che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Questo mette il linguaggio nella posizione determinante. Domandiamoci però perché Lacan, a partire dagli anni cinquanta, prenda il linguaggio come riferimento. In quegli anni, nello strutturalismo che sta crescendo come corrente di pensiero nella cultura francese, il linguaggio e la linguistica s’impongono come il paradigma a partire dal quale è possibile fondare una disciplina di carattere scientifico nel campo delle cosiddette scienze umane. C’è l’algoritmo di Saussure di significante e significato, ci sono gli sviluppi dati da Jakobson sui due fondamentali assi della metafora e della metonimia. Sono gli strumenti concettuali di cui Lacan si appropria in quel momento con lo scopo garantire una base scientifica rigorosa alla psicoanalisi. 
Non c’è dubbio in quegli anni che la psicoanalisi debba appartenere al campo della scienza. Freud stesso considerava che la psicoanalisi dovesse essere una scienza e dovesse avere come base la neurofisiologia come stava emergendo nella sua epoca. Uno dei suoi maestri era Wilhelm Brücke, che aveva studiato a Berlino e aveva assorbito le tendenze antivitalistiche che si espressero nella Società di Fisica, la Physicalische Gesellschaft da lui fondata insieme a Emil Du Bois-Reymond e a Hermann von Helmholz. Aderire alla fisiologia antivitalistica significava ricondurre tutte le manifestazioni vitali all’azione di forze chimico-fisiche, sostenendo la necessità di applicare alla neurofisiologia gli stessi principi della fisica.
Per Lacan il riferimento alla scienza non si in questi termini meramente riduzionisti, ma ricorre per l’appunto ai paradigmi concettuali dello strutturalismo, che vuole si una scienza formale rigorosa, ma non in termini riduzionisti.
Che cosa significa lo strutturalismo? Entrare in una prospettiva strutturalista all’epoca significa per Lacan innanzitutto stabilire la priorità dell’ordine simbolico rispetto al piano immaginario e a quello reale.
Non solo il simbolico viene prima rispetto all’immaginario e al reale ma è anche ad essi irriducibile. Questo vuol dire che il simbolico è autonomo, che c’è un’autonomia del simbolico. Abbiamo in questa idea una parola d’ordine fondamentale dello strutturalismo, che Lacan fa sua. Cosa significa? Significa che il simbolico può essere studiato di per sé,  nelle sue relazioni interne e nelle strutture combinatorie che il linguaggio offre attraverso gli assi della metafora e della metonimia.
Gli elementi della struttura – su questo Levi-Strauss è inequivocabile – non hanno nessun significato estrinseco rispetto alla struttura, non hanno una designazione esterna, hanno solo un senso relativo alla posizione. Il valore degli elementi della struttura è prettamente locale, e relativo alle  intrinseche possibilità combinatorie.
Altro punto qualificante, nella prospettiva che vuole prendere Lacan, è che l’autonomia del simbolico permette di sganciarsi da qualsiasi debito nei confronti dell’intuizione, ed è questo un passo determinante per costituire la psicoanalisi come scienza. È un punto che Lacan manterrà anche nella seconda pare del suo insegnamento. L’indipendenza dall’intuizione è il punto di partenza necessario per costituire una scienza in quanto tale.
Va in questo senso la critica a Melanie Klein, sviluppata nei primi seminari, finalizzata a staccare il simbolico come struttura dalle analogie immaginarie del repertorio kleiniano attinto dalle fantasie inconsce.
Essendoci un’autonomia del simbolico e non essendoci una denominazione esterna al linguaggio, la struttura con cui Lacan formalizza il linguaggio non due elementi di natura distinta, uno che sarebbe il significante, e l’altro che sarebbe il significato. Ci sono solo significanti e relazioni tra i significanti, e il significato si produce come effetto delle relazioni tra i significanti.
È quel che si può scrivere:
  
S1   S2
     s

 Mettendo in relazione tra loro due significanti si ottiene un effetto di significato. Il significato dipende dunque dalla variabile S2 e da essa deriva anche l’effetto di variazione del significato.
  Il significato non corrisponde dunque a nessun elemento concreto, è solo una mancanza che può assumere nei diversi casi diversi valori e che possiamo scrivere così: 

S1  S2
   $                                       
                                         

     Sappiamo che $ abitualmente rappresenta per Lacan il soggetto, che consiste evidentemente in una cancellazione.
     L’articolazione tra S1 e S2 s’impernia dunque su una mancanza, la cui posizione varia nelle diverse possibili combinatorie.
    Da questa  prospettiva, dobbiamo dire che la cura psicoanalitica ha raggiunto il proprio obiettivo quando la mancanza è andata al proprio posto, il che vuol dire quando da parte del soggetto c’è un riconoscimento della castrazione. Lacan mantiene tale concezione – che è esposta in modo molto chiaro nel seminario VIII su La traslazione – fino agli anni sessanta.
Il linguaggio, dal punto di vista strutturalista, è così una combinatoria di posizioni e di sostituzioni che nell’esperienza psicoanalitica si tratta di riarticolare, e quando si esauriscono le possibilità combinatorie, quando  non è possibile fare un’ulteriore sostituzione, quando non ci sono altri rimandi, si incontra allora la mancanza e, per così dire, il gioco è finito. 
Cosa tiene insieme la struttura? Qual è la sua chiave di volta? La risposta si trova nell’Edipo, e Lacan lo riformula in termini di relazioni significanti, riscrivendo in termini formalizzati quel che Freud espone in modo empirico e narrativo. Otteniamo allora la struttura della metafora paterna, dove in Nome del Padre (NdP) si sostituisce al Desiderio della Madre (DM), di carattere enigmatico (x), dando luogo al significato fallico.

   NdP   DM   –––––>     NdP
   DM      x                     (fallo)

Con questo il Nome del Padre viene caratterizzato con la funzione di definire la norma del desiderio, e costituisce una linea guida per l’esperienza clinica, che deve portare il soggetto a riconoscere la castrazione, introducendolo al proprio desiderio. L’Edipo ha dunque una funzione essenzialmente normativa.
Negli anni ottanta Miller ha generalizzato la funzione di sostituzione implicita nella metafora paterna, mettendo l’accento sul godimento piuttosto che sul desiderio, e trasformandola nella formula in base alla quale l’acquisizione del linguaggio in quanto tale implica una perdita di godimento. Se consideriamo allora il linguaggio come l’Altro, siglato A, e il godimento siglato G, possiamo scrivere :

 A      
 G

Questo vuol dire che qualsiasi significante può svolgere la funzione del Nome del Padre e sostituirsi al godimento, provocando la mancanza che si inscrive nell’economia soggettiva come desiderio.
In altri termini: parlare vuol dire rinunciare al godimento, vuol dire sostituire il godimento con dei significanti. L’operazione lascia un resto, siglato con la lettera “a”, ma questa concezione implica comunque una clinica del senso, incentrata sull’interpretazione. Si tratta di giungere al senso della castrazione attraverso un certo numero di sostituzioni: interpretare significa operare in una logica di sostituzioni.
La clinica della fase strutturalista di Lacan si fonda su queste premesse, avendo come riferimento paradigmatico la linguistica. A un certo punto però le cose cambiano, e il riferimento principale di Lacan diventa la matematica, mentre la linguistica va in secondo piano.
Possiamo datare questo passaggio all’incirca con il seminario su L’identificazione, del 1961-1962, che introduce in modo massiccio l’uso della topologia.
Perché avviene questo spostamento? Cosa è successo? È successo che Lacan, a partire dal seminario su L’etica della psicoanalisi, tenuto nel 1959-1960, ha cominciato a delineare una forma di godimento che non è residua, come quella siglata con “a” minuscola, che non è un resto dell’operazione linguistica, che è irrelata dal linguaggio e che, in questa fase, ha il nome freudiano di das Ding, la Cosa.
Interessante è il fatto che il das Ding non viene lavorato attraverso l’algoritmo:

 A
   G

Non è quindi una forma di godimento su cui sia possibile intervenire con i meccanismi combinatori di posizione e di sostituzione del linguaggio in senso strutturale.
Il fatto che das Ding non passi per l’algoritmo che sostituisce il significante al godimento significa tra l’altro che non passa per l’Edipo. 
Si rende quindi necessaria una prospettiva al di là dell’Edipo, che Lacan metterà a punto alcuni anni dopo, nel seminario Il rovescio della psicoanalisi.
Cosa implichi l’Edipo all’interno della struttura del linguaggio è stato spiegato chiaramente da Miller quando ha chiarito che per Lacan il Nome del Padre funziona come una sorta di Altro dell’Altro, cioè come una sorta di metalinguaggio.
Occorre a questo punto notare la sequenza in cui si succedono questi temi: non c’è Altro dell’Altro è un’idea che compare nel seminario Il desiderio e la sua interpretazione del 1958-1959, mentre il seminario su L’etica della psicoanalisi è tenuto l’anno seguente.
È come se l’idea che non c’è metalinguaggio facesse apparire, o rendesse possibile vedere il problema del reale come alterità radicale rispetto al linguaggio.
Cos’è, in effetti, la topologia su cui Lacan tanto di è diffuso? Potremmo dire, in un certo senso, che è una geometria senza metalinguaggio. Vediamo in che senso. 
Per definire una semplice superficie curva in uno spazio cartesiano possiamo dare le coordinate di ciascuno dei suoi punti e otteniamo il suo “indirizzo” preciso, sappiamo dove è situata. È necessario a questo scopo presupporre uno spazio assoluto in cui la superficie è immersa.
Nel XIX secolo Carl Friedrich Gauss, usando il calcolo differenziale, riuscì a risolvere il problema di definire una linea curva solo in base a proprietà interne alla curva stessa, senza ricorso allo spazio assoluto.
Il calcolo differenziale serve per definire il tasso di variazione di una quantità relativamente a un’altra. Si può per esempio applicare alle variazioni di velocità o alle variazioni di una curvatura.
Le variazioni di curvatura di una linea sono assimilabili a variazioni di velocità e quindi in ogni punto la curva può essere definita in base alle sue caratteristiche intrinseche.
Bernhard Riemann, che prese la cattedra di Gauss, risolse lo stesso problema di definire una figura attraverso le sue proprietà intrinseche non per tre, ma per n dimensioni. A questo punto si fa strada il concetto che una superficie non sia tanto immersa nello spazio ma sia essa stessa spazio. Sono così poste le basi per la topologia, che si chiamava allora Analysus situs, titolo di un lavoro di Henri Poincaré pubblicato nel 1895 che mette definitivamente le basi per la topologia algebrica.
Possiamo allora dire, facendo delle analogie esemplificative, che lo spazio euclideo, definito dalle coordinate cartesiane tridimensionali è un po’ come l’Edipo nella pratica clinica: una sorta di metalinguaggio in cui le figure oggetto sono immerse. Il passaggio di Lacan dal riferimento alla linguistica al riferimento alla topologia viene immediatamente dopo la constatazione che non c’è metalinguaggio, e precede di pochi anni il momento in cui sviluppa la prospettiva al di là dell’Edipo. Questo porta necessariamente a una importante ridefinizione della pratica clinica, perché con queste diverse promesse, non si può più operare soltanto con gli stessi mezzi di prima. Si verificano dunque le condizioni che porteranno Lacan alla grande riformulazione della clinica che produce quella che oggi chiamiamo abitualmente clinica borromea, formulata nell’ultima parte del suo insegnamento con l’introduzione del nodo.
Lo sviluppo maggiore sul tema del nodo inizia con il seminario RSI. Quel che è universalmente noto nel nostro ambiente è che il nodo ha la proprietà di unire tre anelli che altrimenti sarebbero sciolti.
L’altra cosa universalmente accettata è che il nodo borromeo produce una degerarchizzazione dei tre registri simbolico, immaginario e reale: la priorità e l’autonomia del simbolico che caratterizzano l’interpretazione strutturalista del linguaggio, fatta propria inizialmente da Lacan, viene meno quando i tre registri vengono messi in posizione di equivalenza nel nodo. Da questo punto di vista il nodo rappresenta una rottura netta con la fase precedente. C’è tuttavia un aspetto di continuità: con il nodo è ribadito il passo iniziale dell’insegnamento di Lacan: non c’è nessuna possibilità di capire qualsivoglia fenomeno umano se non si passa per la tripartizione di simbolico, immaginario e reale. Questo è l’aspetto più saldo di tutto l’insegnamento di Lacan. Adesso però, con il nodo, diversamente da prima, i tre registri sono irrelati, sono pezzi staccati, e hanno un senso completamente diverso.
Il tema centrale di Lacan è la non relazione, il disannodamento del nodo. Questo aspetto è presente sin dall’inizio, tanto che già in RSI, Lacan si pone il problema di un quarto termine necessario da aggiungere ai tre anelli di base, e siccome RSI si sviluppa in un confronto serrato con Freud, il primo candidato a funzionare come quarto elemento è la realtà psichica. Freud – sostiene Lacan – ha inventato qualcosa che si chiama realtà psichica, che può essere un quarto termine in grado di annodare simbolico, immaginario e reale.
Perché la realtà psichica dovrebbe tenere insieme questi tre registri? Non è evidente, e Lacan non la spiega. Inoltre, Freud non ha mai parlato di simbolico, immaginario e reale, e la realtà psichica l’ha concepita per ragioni completamente diverse, per controbilanciare il peso della realtà materiale e per spiegare perché per il nevrotico, e a maggior ragione per lo psicotico, il confronto con la realtà esterna non può mai funzionare per smentire le sue fantasie. Impossibile, per esempio, contraddire un delirio erotomane. Se diciamo a una donna in pieno delirio erotomane che quel che considera il suo irrefrenabile innamorato non le presta la minima attenzione, risponderà che è ovvio: è talmente cotto di lei che non riesce neppure a guardarla. La certezza delirante prevale sulla realtà materiale, e sa sempre trovare gli argomenti logici per sostenerla.
In ultima istanza, la realtà psichica è un nucleo di certezza. È più evidente nello psicotico, ma presente anche nella nevrosi, quando prevalgono fantasie che non si possono ricondurre al senso comune.
Teniamo dunque presente questo punto: ci vuole qualcosa di più solido e di più determinante della realtà materiale per tenere insieme il simbolico, l’immaginario e il reale.
Lacan aggiunge anche, in un diverso passaggio dello stesso seminario, che ci vogliono non tre, ma quattro consistenze per far tenere insieme i tre registri, perché – sostiene – quel che ha precedentemente chiamato realtà psichica ha un nome, ed è complesso d’Edipo.
Avevamo considerato prima Lacan in uno prospettiva al di là dell’Edipo, dopo Il rovescio della psicoanalisi, e ritroviamo l’Edipo nel suo ultimo insegnamento. Anche qui però dobbiamo notare che tutto è cambiato. Non è più l’Edipo strutturalista, che da consistenza al simbolico e introduce alla norma del desiderio. Al tempo stesso tuttavia, sempre nello stesso seminario, Lacan sostiene che l’Edipo è da rigettare, e avanza l’equivalenza tra Nome del Padre e realtà psichica.
Come vedete, sono passaggi che messi uno accanto all’altro sono difficili da interpretare, che indicano come Lacan stia cercando, segue pensieri in evoluzione i quali si stabilizzano nell’idea che domina poi il seminario XXIII dove il quarto anello è definito come il sintomo. Anche qui tuttavia, come in molti altri punti, il nome resta uguale ma il concetto cambia. Il sintomo così non è più una metafora il cui significato è rimosso, dove il problema è di interpretare per ridurlo, eliminarlo, ma è ciò che appare indispensabile per tenere insieme i pezzi staccati.
Le operazioni della clinica sono allora completamente trasformate. Nella fase precedente, per esempio, Lacan metteva l’accento sul taglio come struttura soggettiva e come punteggiatura del discorso, in grado di farne emergere un altro senso. È un aspetto posto particolarmente in evidenza in Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio, come si può leggere in un passaggio che troviamo a p. 801: “Dobbiamo ricondurre tutto alla funzione di taglio nel discorso, e il più forte è quello che costituisce una barra tra il significante e il significato. Il discorso, nella seduta analitica vale solo nella misura in cui inciampa e s’interrompe. Solo questo taglio della catena significante verifica la struttura del soggetto come discontinuità del reale”.
Questo modo di operare è esattamente il contrario di quel che Lacan propone nel seminario XXIII dove, in particolare nella quarta lezione, dice che se non c’è Altro dell’Altro occorre fare tuttavia da qualche parte una sutura tra il simbolico e l’immaginario – che significa tra l’inconscio e il corpo – occorre realizzare un raccordo, un’incordonatura tra simbolico e reale – ovvero tra inconscio e pulsione. Il termine “incordonatura”, in francese “epissure” usato qui da Lacan è un termine propriamente marinaio, che indica il modo in cui, ai due capi di una corda, si sciolgono le fibre che la compongono per riattorcigliare quelle di un capo con quelle dell’altro formando una continuità, oppure. 
L’idea è che in qualche modo portiamo l’analizzante a incordonare il sintomo con il reale parassita del godimento perché possa attingere a questo godimento. Detto in altro modo, si tratta di rendere possibile al soggetto consentire al proprio godimento. 
Mentre il taglio è un’operazione sul significante, un’interpretazione realizzata senza riferirsi a codici metalinguistici, l’incordonatura è un’operazione che agisce sulla pulsione, sul modo di godimento. Il taglio fa da punteggiatura nel discorso del soggetto per farne sorgere il senso, le suture, i raccordi, le incordonature, sono riparazioni realizzate per eliminare il sintomo, ma per utilizzarlo.
La riparazione è il tema centrale della sesta lezione del seminario XXIII. Il punto di partenza della riflessione di Lacan è la constatazione che nel nodo può esserci un errore, e che questo errore può essere rimediato con l’aggiunta di un anello. 
Quando c’è un errore nella catena borromea, gli anelli sono liberi, quando c’è un errore nel nodo, il nodo si riduce a cerchio.





















Può essere utile, per gli sviluppi che dovremo considerare, vedere che il nodo a trifoglio mostrato sopra, quando è annodato correttamente può  apparire anche in questa forma:









Quando presenta un errore di annodamento si presenta invece così:










Lacan prende due esempi: un nodo con quattro incroci, detto nodo di Listing, dal nome di Johann Benedict Listing, che fu un allievo di Gauss, 






e un nodo con cinque incroci, che Lacan battezza con il proprio nome. 
















Il nodo a cinque incroci serve per esemplificare come ci possano essere diversi modi di sbagliare annodamento. In alcuni incroci l’errore fa sì che il nodo si disfi, in altri invece il nodo si mantiene, riducendosi però da un nodo a cinque a uno a tre incroci.
Il nodo a cinque incroci serve dunque a Lacan per mostrare che gli errori d’annodamento non sono indifferenti allo specifico punto d’incrocio in cui si producono, e per indicare che hanno effetti diversi sul nodo. 
Lacan riprende nel nodo a tre l’idea che non è la stessa cosa riparare l’errore dove si produce e ripararlo in uno degli altri due punti d’incrocio. Qual’è quindi il percorso didattico di Lacan su questo aspetto? Mostrare che se si produce un errore in un nodo superiore, quello a cinque, non è grave perché la qualità nodale, pur ridotta, si mantiene. Se si produce invece un errore nel nodo a tre, tutto si disfa.
Ritroviamo la stessa eterogeneità rispetto al punto di riparazione quando si tratta di correggere l’errore nel nodo a trifoglio, quando si aggiunge in esso un anello per garantirne una tenuta.
Qual è in questo caso la differenza? Nel caso in cui l’anello sia inserito in un punto diverso da quello in cui si è prodotto l’errore si ha equivalenza tra i due anelli della struttura risultante. 








Nel caso in cui l’anello sia inserito nel punto stesso in cui si è prodotto l’errore, questa equivalenza non sussiste.











La differenza sta quindi nell’equivalenza o meno tra i due anelli a cui si riduce il nodo riparato, dove un anello è quello che è stato aggiunto, e l’altro è quello che si sarebbe ridotto a cerchio se non ci fosse stata l’aggiunta. 
Considerando ora il piano della struttura soggettiva il problema ora è: che cosa abbiamo da aggiungere ai tre registri del simbolico, immaginario e reale in gioco nell’esperienza umana, quando l’annodamento non funziona? Di fatto, dobbiamo dire che nell’esperienza umana è strutturale  che qualcosa fallisca, che l’istinto deragli per via del linguaggio, che l’incontro con il linguaggio rivesta un carattere traumatico in quanto tale, e  questo è il motivo per cui l’annodamento non si realizza. Sempre bisogna aggiungere qualcosa perché il nodo tenga, e questo qualcosa è il sintomo. Il sintomo diventa così una componente essenziale dell’esperienza umana. Capite allora che c’è da questo punto di vista un totale ribaltamento della prospettiva clinica: prima bisognava interpretare i sintomi per risolverli de eliminarli, ora i sintomi sono un fattore di riparazione, e quando non ci sono vuol dire che va molto male, che il soggetto non è messo bene, bisogna cercare qualcosa che supplisca.
Per quanto riguarda la riparazione abbiamo visto che ci possono essere due modi. E qui viene in punto cruciale, il centro critico di tutta questa lezione. Le presentazioni del nodo a quattro e a cinque incroci erano in fondo, piuttosto didattiche, ma a questo punto viene il concetto, il passaggio fondamentale che introduce qualcosa di nuovo nella prospettiva psicoanalitica. Lacan dice a questo punto che se c’è equivalenza tra i due anelli, come si verifica quando il nodo è corretto nel punto sbagliato, non c’è rapporto sessuale. Se le posizioni dei due anelli sono scambiabili, sostituibili una all’altra, non c’è rapporto sessuale. Potremmo forse dire in questo caso che c’è rapporto di parola, c’è rapporto tra soggetto e Altro, ma non c’è rapporto sessuale.
Cosa significa dire che se c’è equivalenza non c’è rapporto sessuale? Non sembra un enunciato di per sé evidente, ma Lacan non lo spiega ulteriormente. Per darcene una ragione prendiamo il caso in cui c’è rapporto sessuale. È il caso dell’animale che, diversamente dall’uomo,  è guidato dal sicuro binario dell’istinto verso il partner dell’accoppiamento. In questo caso c’è equivalenza, le posizioni dei due partner sono scambiabili come i due anelli del nodo, oppure no? Gli etologi hanno mostrato che i comportamenti di corteggiamento sono sequenze rigidamente codificate all’interno di ogni specie. Per esempio nello spinarello, che fa una complessa danza zig-zag, a ogni movimento del maschio corrisponde una precisa risposta della femmina, e non è possibile sostituire la femmina dello spinarello con una femmina di specie simile e vicine, come una carpa, perché la sequenza presto s’interrompe. E non è neppure possibile scambiare le posizioni del maschio e della femmina, perché producono due sequenze dissimmetriche. Nell’uomo le cose sono molto diverse. Solitamente è il maschio che corteggia la femmina, ma se le cose vanno a rovescio non si blocca nulla, non necessariamente. Nell’animale dunque, dove c’è rapporto sessuale, non c’è equivalenza, e questo ci permette di capire l’enunciato inverso, quello di Lacan, per cui se c’è equivalenza non c’è rapporto sessuale.
La relazione sessuale, non essendoci equivalenza passa invece attraverso il sintomo. Il sintomo è l’anello aggiunto al posto giusto, e le trasformazioni del nodo mostrano chiaramente che i due anelli non sono equivalenti, non possono indifferentemente prendere uno il posto dell’altro come nell’altra struttura.
Perché la relazione sessuale passa per il sintomo? Perché passa per il godimento: passa per il godimento del corpo e il godimento della lingua.
È qui che Lacan la sua stupefacente affermazione che una donna è un sintomo per l’uomo e che l’uomo per una donna è anche qualcosa di peggio, è una devastazione.
Che una donna sia un sintomo per un uomo può non apparire immediatamente evidente ma, se consideriamo la nuova concezione di sintomo che si fa luce qui, l’idea appare invece subito chiara. Qual è la posizione della donna nella teoria classica? Quella di oggetto del desiderio maschile. Proprio perché una donna incarna l’agalma dell’uomo, diventa desiderabile. Andando a coincidere con la posizione di oggetto del fantasma di un uomo, una donna diventa oggetto del  suo desiderio. La seduzione femminile passa attraverso la capacità della donna di farsi segno dell’oggetto che all’uomo manca. E cos’è il sintomo, quando non lo consideriamo più semplicemente un elemento disfunzionale da eliminare? È un segno di godimento, ed è diventando questo segno che una donna diventa partner del desiderio di un uomo.
Consideriamo lo sviluppo che di questo tema ha dato Miller: generalizzando la prospettiva di Lacan ne ha ricavato la teoria del partner-sintomo. Il sintomo, dice Miller nel suo corso del 1997-1998 intitolato per l’appunto Il partner-sintomo, è ciò che sta in una coppia, che non deve necessariamente essere eterosessuale. Il sintomo sta tra uomo e donna, ma anche tra donna e donna e tra uomo e uomo.
Bisogna notare che il corso Il partner-sintomo viene subito dopo quello su L’Altro che non esiste e i suoi comitati etici, corso in cui Miller decostruisce la consistenza dell’Altro e, alla coppia interlinguistica tra Soggetto e Altro, che si fonda sul riconoscimento, sostituisce la relazione tra il parlessere e il partner-sintomo.
È uno sviluppo che tiene conto della nuova assiomatica di Lacan presente a partire dal seminario Encore. Non parte più, in questo seminario, dall’Altro considerato come preesistente, ma dall’Uno del godimento, e si pone così l’interrogativo su cosa spinga il soggetto a uscire dall’autismo del godimento per aprirsi all’Altro.
 Nella lettura di Miller l’Altro, inconsistente, inesistente e senza più ormai una posizione preliminarmente attribuita, viene surrogato dal partner-sintomo. Può sembrare astratto ma è il tema contemporaneo che si presenta con maggiore spicco nei problemi di coppia. Sempre più ci si rivolge allo psicoanalista per qualche problema di coppia, qualunque sia ili tipo di coppia. Al tempo di Freud poteva verificarsi che un padre portasse la figlia a fare una “revisione”, per così dire, da uno psicoanalista, come era stato nel caso di Dora o della giovane omosessuale. Oggi, con sempre maggior frequenza, è piuttosto un coniuge, uomo o donna che sia, a portare il partner dallo psicoanalista perché c’è qualcosa che non va.
Una volta mi è successo anche di essere consultato da una donna perché  era la sorella che non andava, perché in quel caso il partner sintomatico era la sorella. Infatti fu la donna stessa a intraprendere poi, con profitto, un’analisi. 
La teoria del partner-sintomo può abbracciare un’estensione molto ampia e, in fondo, nel modo più generale possiamo dire che riguarda la differenza tra il sintomo intersoggettivo e il sintomo intrasoggettivo.
Il sintomo è sentito come estraneità, come disfunzionale – noi sappiamo che è invece funzionale, ma occorre un percorso di analisi perché anche il soggetto se ne possa rendere conto – e quel che appare disfunzionale può essere una parte di sé che non si integra nell’io, o può essere un altro che incarna esteriormente il sintomo, ed è questo il motivo per cui lo si porta dall’analista, perché venga “riparato”.
Nell’equivalenza che Lacan mette in correlazione con il non rapporto sessuale, quel che manca è la forma di eterogeneità che riconosciamo nel sintomo, manca la dimensione di un’alterità radicale, quella che Lacan chiama l’Altro sesso.
La possibilità di una relazione sessuale passa per il sintomo e per il godimento tenendo conto che l’uomo e la donna hanno una relazione completamente diversa con il sesso.
In un primo momento, Lacan aveva sottolineato questa differenza, parlando della specifica relazione che ogni sesso intrattiene con il fallo.
Anche questo è un modo di dire che non c’è rapporto sessuale. Ognuno dei due sessi è come appartato nella propria relazione con il fallo e Lacan ne trae le conseguenze che troviamo scritte nelle formule della sessuazione, dove il rapporto con il fallo di ciascuno dei due sessi è messo in forma logica.
Questo significa anche, ed è un tema che è stato ampiamente sviluppato nel Campo freudiano, che ogni sesso ha un suo particolare partner, nel sintomo o nella devastazione. Dal lato maschile, che si sostiene sulla contabilità del godimento fallico, il partner è l’oggetto “a” minuscola. Dal lato femminile, che si sostiene sull’amore, occorrono le parole, e sono parole che non bastano mai. C’è un aspetto che tocca l’infinito dal lato femminile, e proprio perché le parole non bastano mail il partner-sintomo ha la forma di significante della mancanza dell’Altro. Ho seguito una volta in analisi una donna che, come molte donne oggi, cercava un incontro attraverso le chat line. Era entrata a un certo punto in contatto con una persona che le scriveva frasi che la facevano sognare, un artista della parola, e dopo breve tempo mostrava in modo inconfondibile tutti i segni dell’innamoramento: era dimagrita, era diventata più bella, più curata, non riusciva a concentrarsi sulle cose di tutti i giorni. Non aveva mai visto l’uomo all’altro capo del filo, aveva solo le sue parole, ma si era innamorata delle parole. Nel femminile c’è questa straordinaria possibilità: una donna può innamorarsi delle parole.
Il partner-sintomo dell’uomo ha la forma del feticcio, e a un uomo piacciono cose che per una donna a volte è difficile capire o che non sempre è disposta a condividere. Un uomo si interessa alle calze di nylon, alle scarpe con il tacco, a tutto un repertorio che una donna può considerare semplicemente pornografico.
Per le donne il desiderio ha invece la forma dell’erotomania, che esprime il bisogno di essere amata, il bisogno che le venga fatta sentire la propria unicità attraverso le parole, che sono parole d’amore. C’è in questo un circuito che passa per il carattere infinito della domanda d’amore, c’è: “Dimmi che mi ami” quel bisogno ininterrotto di parlare che gli uomini non sempre capiscono e da cui a volte si sentono disturbati e di cui non riescono a darsi ragione. Deve essere un problema che turba anche la scienza perché recentemente un’equipe di ricercatori ritiene di aver scoperto le ragioni genetiche per cui le donne sono così versate nella parola. Il godimento maschile può invece essere benissimo silenzioso, è perfettamente compatibile con il silenzio.
Vorrei concludere con poche brevi osservazioni sul caso clinico di un uomo che per anni, per motivi legati alla sua difficilissima storia infantile, trova una compensazione nella relazione con la moglie, con la quale c’è una perfetta intesa, salvo il fatto che non c’è sesso. Dopo una quindicina d’anni di matrimonio lei si rende conto di essere omosessuale. I due si separano e lui comincia a intrattenere relazioni fortemente erotizzate con le donne con le quali le cose però non riescono a continuare. Si accorge infatti che se non ci sono contrasti, ostacoli da superare – che evidentemente nel tempo del matrimonio erano rappresentati dalla difficoltà di avere relazioni sessuali con la moglie – la cosa lo annoia. La donna con cui riesce ad avere un legame più durevole è quella con cui la relazione che intrattiene è ben espressa in un sogno. Sta guidando in autostrada contromano, c’è un forte temporale, i vetri sono appannati, lui  chiede alla donna, che gli è accanto, di aiutarlo a pulire i vetri, ma lei non lo fa. Con questa donna la situazione è esattamente il rovescio che con la moglie: c’è una forte intesa sul piano erotico, ma è impossibile parlarsi senza litigare o entrare in un vortice di reciproche provocazioni.
Mi sembra che questo caso illustri molto bene le due situazioni presentate da Lacan con il nodo dove la correzione è fatta nel punto sbagliato e dove invece è fatta nel punto stesso in cui l’errore si è prodotto. La relazione con la moglie infatti compensava il fallimento   nelle relazioni che si era configurato nella sua vita infantile, ma la correzione non avveniva nel punto stesso dello scacco, che riguardava il rapporto con la madre. La moglie compensava questo scacco, ma era una donna completamente diversa, presa da un altro mondo. Per questo si trovavano in una posizione di equivalenza senza poter interagire sessualmente. Il fatto che la moglie fosse omosessuale è solo un dato aggiuntivo e non necessario rispetto a un’impossibilità altrimenti costituita. Con l’altra donna non c’era una elusione dell’errore, perché le cose erano riprese nello stesso punto in cui non andavano con la madre, ed era per questo la donna giusta sul piano erotico, anche se sbagliata per tutto il resto. D’altra parte, come si dice nel finale di un famoso film di Billy Wilder, nessuno è perfetto.

Marco Focchi