mercoledì 26 ottobre 2011
La via della psicoanalisi verso la politica
Riceviamo dal filosofo Riccardo Fanciullacci, e volentieri pubblichiamo queste osservazioni in margine al Forum della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi: “La psicoanalisi di fronte alle angosce della civiltà: crisi economica, politica, spirituale” (Milano 22 ottobre 2011).
0. Pur non essendo iscritto alla SLP, quando sono venuto a sapere del progetto di un forum inteso ad aprire uno spazio di confronto tra gli analisti lacaniani e altri studiosi e studiose, sui temi difficili del presente, cioè su quelli che più pressantemente fanno sentire il bisogno di un’articolazione teorica non affrettata, bensì radicale, che sia alla loro altezza, ebbene, quando ho saputo di questo, mi sono precipitosamente organizzato per essere presente. La sequenza variegata degli interventi mi ha suscitato delle considerazioni che avrei voluto proporre nel dibattito, poiché però questo ha di fatto avuto tempi abbastanza ridotti, le propongo qui.
1. Nel suo intervento di apertura, Paola Francesconi ha sottolineato e ribadito che “tra pulsione e oggetto non c’è corrispondenza”, bensì “uno spazio vuoto che chiede un’invenzione singolare”, questa invenzione singolare sarebbe l’avvenire o l’accadere del soggetto, soggetto che è dunque dell’ordine degli eventi e non delle sostanze.
2. Ora, questo spazio, che è aperto in quanto non vi è una regolazione naturale del rapporto tra pulsione e oggetto, è anche lo spazio in cui è all’opera quella regolazione compiuta dalle istituzioni, di cui parla Freud (Freud, ne Il disagio della civiltà, parla delle «istituzioni che regolano», dice che regolano i rapporti tra gli uomini, cioè, potremmo dire, che regolano il “non rapporto sessuale”, ma appunto, tra il “non rappoto” e la “non corrispondenza pulsione/oggetto” c’è un nesso). [Questo, tra l’altro, prova che la Kultur non è data solo dalla scienza e dalla tecnica impegnate nel compito di dominare la natura, come ha invece scritto Paolo D’Alessandro, nell’abstract del suo intervento – lo rimarco perché l’accezione profonda, freudiana, di Kultur ci servirà tra poco].
3. Nella pagina citata, Freud parla dell’inadeguatezza di quella regolazione operata dalla istituzioni. È un’inadeguatezza strutturale e rimarcala significa rimarcare il fatto che le istituzioni non sollevano il singolo dal compito di quell’invenzione singolare di cui s’è detto (il saperci fare ecc.).
4. È vero dunque che né la natura, né le istituzioni (la Kultur) regolano la relazione pulsione/oggetto adeguatamente, cioè fino a renderla una corrispondenza, fino a renderla qualcosa che va da sé senza bisogno di un saperci fare inventato dal singolo. C’è questo tratto di identità tra natura e Kultur. Nel rimarcare questo tratto di identità, però, credo non si debba perdere di vista l’opportunità offerta dalla scansione.
5. L’opportunità da riconoscere è questa: il problema che ha ciascuno di inventarsi una sua soluzione singolare non riassorbe o risolve in sé il problema dell’invenzione-tessitura di nuove forme socio-simboliche di messa in ordine – anche se sappiamo che tale messa in ordine non potrà comunque mai sollevare i singoli dal loro compito singolare. Detto altrimenti: se è vero che non c’è regolazione istituzionale che solleva il singolo dalla sua responsabilità, è altrettanto vero che il ruolo della mai-adeguata-regolazione istituzionale non può essere preso in carico solo dalla molteplicità dispersa delle invenzioni singolari.
6. Mi sembra, non solo a partire dagli interventi SLP al Forum, ma certo anche da questi interventi, che la SLP sia eccellente nel far vedere i modi attuali secondo cui la Kultur a noi contemporanea sia inadeguata a regolare il non rapporto e la non corrispondenza, cioè sia eccellente a far vedere come si configura oggi il modo in cui la Kultur produce disagio, ma che invece pecchi (anche gravemente) quando si tratta di
elaborare quello specifico agire e pensare che consiste nel situarsi al livello in cui stanno le forme socio-simboliche di regolazione e nel dare avvio alla tessitura di nuove forme. Questo agire e pensare che si mette al livello della regolazione socio-simbolica e si estrinseca nella tessitura di nuove forme, questo agire e pensare su cui mi pare pecchi la SLP, io lo chiamo politica.
7. Come è chiaro, con questo ragionamento sto cercando di interrogare il modo in cui il sapere psicoanalitico può avere un potenziale politico, cioè trasformativo di quella regolazione socio-simbolica di cui parlava anche Freud.
8. Questo ragionamento, mi sono sforzato di formularlo usando significanti già introdotti da altri, durante il Forum. Devo però aggiungere che questa accezione di politica, sebbene abbia una storia antica e autorevole, non è quella che circola sui media. Questa seconda può essere intesa come una violenta restrizione del significato della prima: in questa seconda accezione, le “istituzioni della Kultur che operano regolazioni” sono solo le istituzioni politiche che operano attraverso leggi e atti di governo e l’unico modo di situarsi al loro livello è quello di seguire la procedura elettorale (o referendaria o al massimo facendo una protesta in piazza). Si tratta di un senso molto impoverito. La politica nell’accezione che ho nominato (punto 6) è invece qualunque ricontrattazione sulle forme dell’agire che regolano il rapporto umano agli altri, al proprio desiderio e al mondo. Per intenderci, queste forme includono anche “le maniere” tanto amate da Lacan e Miller. Il punto è: queste forme non sono mai puramente delle invenzioni singolari. Piuttosto, vi sono tipologie di forme che consentono e fanno spazio ad invenzioni singolari (ad esempio appunto, le maniere), ma non sono mai la semplice somma di invenzioni singolari – d’altro canto, il linguaggio delle maniere (che troviamo rappresentato nei romanzi) è un linguaggio e quindi sta in posizione di terzo rispetto ai singoli.
9. Che cosa significa situarsi al livello di tali forme d’ordine e modalità di regolazione e operare trasformativamente su tale livello? Questa è una delle domande su cui credevo si sarebbe discusso nel Forum. E lo credeva anche Anita Sonego quando, nel suo saluto di apertura, ha tradotto il titolo del forum in una domanda interessante e importante: “Com’è che la trasformazione individuale favorita dalla psicanalisi può divenire trasformazione sociale?”.
10. Mi pare che anche Massimo Amato abbia rivolto la sua attenzione al piano di queste forme socio-simboliche (ha parlato di “nodo di pratiche e dogmi” che dobbiamo smontare o decostruire). Lui, poi, era particolarmente interessato a sottolineare che in esso sono incistate anche idee metafisiche che vanno disseppellite e articolate. Questo è parte del lavoro critico. Non è il tutto del lavoro politico (che ha in sé il lavoro critico, ma lo sopravanza, perché ha anche il momento trasformativo e rischioso). Mi è parso che Marco Focchi nella sua discussione dell’intervento di Amato stesse cercando di evidenziare il momento politico oltre a quello metafisico, però non sono sicuro, perché sentivo male.
11. Ad ogni modo, chi ha perfettamente posto il problema politico è stata Carmen Leccardi. Ha fatto anzi un passo ulteriore: ha cioè cercato di indicare il potenziale su cui far leva in quell’agire che sa situarsi al livello della regolazione socio- simbolica e sa operare in esso (≠ su di esso, dall’alto). Cercare il potenziale e il punto di leva è parte della risposta alla domanda del punto 9: come si fa a fare del proprio agire un agire politico? Intanto cercando un potenziale su cui far leva, qualcosa che è già dell’ordine delle forme dell’agire (= che ha già una qualche terzità), ma che fa rotta in una direzioni diversa da quella verso cui fanno rotta le forme dominanti.
12. Leccardi non ha individuto tale potenziale ne le donne, né tantomeno ne La donna. A mio parere, non è dunque una buona risposta quella offerta da P.-G. Guéguen, che ha ricordato la mossa anti-essenzialista di Lacan dell’una per una.
Leccardi ha fatto riferimento a invenzioni femminili in quanto lette come aventi un qualche rapporto di fedeltà con l’evento del movimento delle donne. Leggere quelle invenzioni in questo modo significa non ricondurle alla presunta essenza de La donna, ma neppure semplicemente a quella posizione femminile di non tutta: significa leggerle valorizzando la loro terzità, storicamente tessuta, significa leggerle come un’altra corrente che attraversa lo spazio delle «istituzioni che regolano», cioè lo spazio delle forme d’ordine, e che dunque può consentire una contesa su quel piano (c’è infatti un punto di leva su cui far forza e uno spazio di arretramento in cui prendere lo slancio). Sarebbe interessante vedere come quelle “invenzioni che hanno ricevuto terzità” (cioè, più semplicemente: quelle pratiche) si leghino alla posizione di non tutta, ma comunque sia, non si possono ridurre allo stato di “invenzioni scaturienti da una non-tutta”: così facendo, come è stato fatto nelle repliche, si perde di vista che tipo di realtà hanno (la loro terzità) e così il loro potenziale politico. In una battuta: avrebbe scarso interesse dire che di fronte alla crisi dobbiamo volgerci alla capacità di cura delle donne (questo è un discorso che fa il capitalismo). Si tratta al massimo di dire: facciamo leva sulla capacità di cura che grazie al femminismo è sempre più una forma d’ordine riconosciuta socialmente e adottata anche da uomini.
14. È chiaro che con “femminismo” qui non mi riferisco alle rivendicazioni paritariste che ha così ben criticato Giuliana Kanzà, ma che sono una manifestazione assolutamente secondaria del femminismo italiano (sebbene quella più pubblicizzata da mass media poco attenti). Un esempio lo si può invece trovare in ciò che sta facendo il “Gruppo del lavoro” della Libreria delle donne di Milano, con un lavoro che accade con una temporalità simile a quella dell’analisi e non attraverso la produzione di belle pensate astratte (cfr. “Il doppio sì. Lavoro e maternità”, Quaderno di Via Dogana).
15. Un’ultima osservazione sull’ultima osservazione fatta da Guéguen al mattino. Ha detto: il caso esposto da Nicola Purgato è il caso di uno che arriva singolarmente a trovare il punto di responsabilità. Si potrebbe voler aggiungere: “senza bisogno della mediazione sociale”. Ebbene, intanto, quel ritrovamento del punto di responsabilità è avvenuto anche grazie a quella pratica (avente terzità, come prova l’esistenza della SLP) che è la pratica clinica. Ma non è finita: qui abbiamo una trasformazione individuale che accade grazie ad una pratica molto particolare come la clinica analitica (una pratica ordinata, ma sempre anche ordinantesi di nuovo ecc.); resta la domanda di Anita Sonego: è possibile un’incidenza, non direttamente di quella pratica, ma del sapere in essa accumulato, sul piano della regolazione socio-simbolica? Oppure dovremo aspettare che tutti vadano in analisi, come Freud giustamente diceva che non poteva essere?
Riccardo Fanciullacci (Università Ca’ Foscari di Venezia)
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