Ricevo e pubblico volentieri, insieme alle mie risposte, queste domande del filosofo Riccardo Fanciullacci. Il dibattito prende spunto dal testo, presente in questo blog, "Le nuove famiglie e il padre postmoderno".
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Caro dottor Focchi,
RispondiEliminala ringrazio per queste risposte così chiare alle mie domande, che sono solo alcune delle tante che il suo blog così interessante mi suscita ogni volta.
Oltre che per ringraziare, vorrei usare questo commento per ricambiare con due piccole osservazioni.
La prima riguarda alcuni stilemi che ricorrono sia negli ultimi scritti/trascrizioni di Lacan, sia soprattutto negli scritti recenti dei membri della vostra Scuola. Faccio tre esempi ricavandoli dalle sue risposte: “una via d’accesso a un po’ di godimento”, “non sempre questa funzione cade in buone mani”, “casi favorevoli”. Altre forme che ricavo da altri testi: “soluzione non anonima”, “più degno di rispetto” (formula che Lacan usa per descrivere sia l’amore di un uomo per una donna particolarizzata, sia l’assunzione della paternità dopo il tramonto del ruolo forte del padre).
Io amo molto questi stilemi. Qualcuno potrebbe rubricarli come formule vaghe, ma io preferisco associarle ad una poetica del dettaglio infinitesimo, così piccolo che non c’è una nuova categoria per afferrarlo, ma occorre aggiungere queste formule. Esse sono come degli operatori che servono a far de-consistere le categorie su cui operano. Miller, qualche anno fa, ha tenuto a Parigi un corso sull’esprit de finesse (io non ero a Parigi, ma mi hanno raccontato): ecco siamo da quelle parti. Siamo dalle parti di un sapere, quello analitico, che sempre più nettamente vuol significare di avere a che fare e di voler avere a che fare con ciò che Aristotele dice che sfugge al sapere, cioè il singolare. A chi dice: “sono formule vaghe” vorrei dire: “no, sono formule che ti segnalano di non fare della teoria un qualcosa di autoreferenziale, perfettamente coerente e integrato perché formale e vuoto”. Non so se questa mia lettura è per lei accettabile.
Vorrei aggiungere che stilemi come questi si trovano talvolta anche presso altri pensatori: penso ad esempio alla locuzione di Winnicott sulla madre minimamente decente. Quando sono gli altri ad usarle si ha sempre il timore che per quelle aperture non ben circoscritte possa poi passare di tutto (ad esempio: una morale normativa, la fissazione di modelli comportamentali stretti), ma questo pericolo non va combattuto attaccando in generale le formule vaghe.
Caro dottor Focchi,
RispondiEliminala ringrazio per queste risposte così chiare alle mie domande, che sono solo alcune delle tante che il suo blog così interessante mi suscita ogni volta.
Oltre che per ringraziare, vorrei usare questo commento per ricambiare con due piccole osservazioni.
La prima riguarda alcuni stilemi che ricorrono sia negli ultimi scritti/trascrizioni di Lacan, sia soprattutto negli scritti recenti dei membri della vostra Scuola. Faccio tre esempi ricavandoli dalle sue risposte: “una via d’accesso a un po’ di godimento”, “non sempre questa funzione cade in buone mani”, “casi favorevoli”. Altre forme che ricavo da altri testi: “soluzione non anonima”, “più degno di rispetto” (formula che Lacan usa per descrivere sia l’amore di un uomo per una donna particolarizzata, sia l’assunzione della paternità dopo il tramonto del ruolo forte del padre).
Io amo molto questi stilemi. Qualcuno potrebbe rubricarli come formule vaghe, ma io preferisco associarle ad una poetica del dettaglio infinitesimo, così piccolo che non c’è una nuova categoria per afferrarlo, ma occorre aggiungere queste formule. Esse sono come degli operatori che servono a far de-consistere le categorie su cui operano. Miller, qualche anno fa, ha tenuto a Parigi un corso sull’esprit de finesse (io non ero a Parigi, ma mi hanno raccontato): ecco siamo da quelle parti. Siamo dalle parti di un sapere, quello analitico, che sempre più nettamente vuol significare di avere a che fare e di voler avere a che fare con ciò che Aristotele dice che sfugge al sapere, cioè il singolare. A chi dice: “sono formule vaghe” vorrei dire: “no, sono formule che ti segnalano di non fare della teoria un qualcosa di autoreferenziale, perfettamente coerente e integrato perché formale e vuoto”. Non so se questa mia lettura è per lei accettabile.
Vorrei aggiungere che stilemi come questi si trovano talvolta anche presso altri pensatori: penso ad esempio alla locuzione di Winnicott sulla madre minimamente decente. Quando sono gli altri ad usarle si ha sempre il timore che per quelle aperture non ben circoscritte possa poi passare di tutto (ad esempio: una morale normativa, la fissazione di modelli comportamentali stretti), ma questo pericolo non va combattuto attaccando in generale le formule vaghe.
La seconda riguarda le annotazioni finali sull’autorità.
RispondiEliminaÈ una questione davvero decisiva oggi. Bisogna ripensarla proprio anche per contrastare i tentativi di rimettere in piedi vecchie autorità, bisogna ripensarla affinché la critica di questi tentativi non riproduca l’ingenuità di quelle critiche che oppongono in maniera unilaterale libertà e autorità.
Lacan, se non sbaglio, lo faceva notare agli studenti del Maggio. Ma su questo punto un lavoro di straordinario interesse e ricchezza lo ha fatto il pensiero della differenza sessuale, in particolare quello italiano. Mi permetto così di segnalare, tra gli altri, tre testi: uno è il quarto volume prodotto dalla comunità filosofica femminile di Diotima (Verona): “Oltre l’uguaglianza. Le radici femminile dell’autorità”; un altro è il libro di Lia Cigarini “La politica del desiderio”, che ha una sezione sull’autorità e infine alcuni testi di Luisa Muraro. Ne citerò uno di cui ho appena curato una nuova edizione ampliata (la prima era introvabile già quando è uscita): “Tre lezioni sulla differenza sessuale e altri scritti” (Orthotes, Napoli). Poiché l’ho curato, l’indicazione è interessata? Sì, ma anche no perché l’ho curato appunto in ragione dell’interesse che secondo me il libro ha.
Nella trascrizione della terza delle Tre lezioni, trovo una frase simile a quella che è nella sua ultima risposta: «Ordine simbolico e ordine sociale non sono la stessa cosa. Se, per esempio, teorizzo la necessità di autorità, non posso in alcun modo dedurne la necessità di cattedre o di voti o di altri simili dispositivi con cui, a livello di ordine sociale, si impone un’autorità. Cattedre, voti, giudizi e cose simili, come sentenze, tribunali ecc., sono forse difendibili contestualmente. Ma non è che l’aver dimostrato la necessità che vi sia autorità perché vi sia ordine simbolico equivalga all’affermazione della bontà di come di fatto, storicamente, socialmente, un’autorità si esercita. È chiaro questo? Ebbene, ordine simbolico e ordine sociale, peraltro, non sono neppure separati. Nel momento in cui teorizzo la necessità simbolica di autorità, infatti, io pongo un’istanza anche per l’ordine sociale: bisogna che ci sia autorità perché vi sia ordine sociale, innegabilmente. Ma quali forme, quali modi di questa autorità siano da costituirsi…».
Concordo con l’impostazione che emerge dalle righe di Muraro che ho citato e anche con l’aggiunta che le segue e cioè che non solo vi possono essere diversi “portatori di autorità”, ma anche diverse forme di autorità. In una battuta: se c’è stato un tempo in cui il padre e il poliziotto erano entrambi portatori di una stessa forma di autorità, oggi l’autorità che un padre o un insegnante può sperare di realizzare e cercare di realizzare è di tipo diverso, molto meno legata alla possibilità di usare, come più o meno estrema ratio, anche la forza pur di venire a capo di una situazione. È un’autorità senza potere, ma non senza potenza (nel senso spinoziano): è un’autorità che non limita, ma capacita, “offre una via”, “mostra una soluzione”.
RispondiEliminaEcco, nel provare a dire qualcosa a proposito di quest’altra forma di autorità, che è quella a cui lei associa la dignitas, lo scambio tra la Scuola lacaniana e il pensiero della differenza è senz’altro un’occasione importante.
Ma sullo stesso tema incrociamo anche una parte della teologia cristiana, ad esempio alcuni studi sul cristianesimo primitivo che esaminano che ruolo avesse la codificazione nella costituzione dell’autorità che operava nelle prime comunità. (Per intenderci: la formalizzazione, molto recente, ottocentesca, dell’infallibilità del Papa, che ha prodotto all’immagine del Cattolicesimo più danni che altro, è legata ad una crisi dell’autorità come dignitas, crisi a cui si è tentato di far fronte con una regola procedurale!).
Nel deserto attuale della riflessione politica, queste tre linee di lavoro, quella della vostra Scuola, quella del pensiero femminile italiano della differenza e quella di una parte della teologia cattolica mi paiono all’avanguardia per pensare qualcosa che invece – e lo dico con dispiacere – è stato davvero poco pensato nella tradizione marxista e anche operaista.
Spero che potremo tornare presto su questo problema. Credo che la vostra Scuola abbia da dire in proposito, e non solo a partire dalla “autorità” possibile per un padre postmoderno, ma anche a partire dalla “autorità” dell’analista – e da quella di Lacan per voi, che ho intravisto leggendo le “Lettere all’opinione illuminata” e che mi ha molto, molto colpito: è assolutamente inusuale in uno scenario come quello postmoderno in cui non c’è riferimento ad un nome o a una teoria che non sia presentato come sostituibile.