martedì 12 gennaio 2010

Biologia, strategia, inconscio


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5 commenti:

  1. "La medicalizzazione generalizzata delle condotte diventa un vettore fondamentale del potere" scrivi e "Kandel propone un completo reinquadramento della psicoanalisi nella cornice offerta dalla biologia".
    Lo scientismo tecnologico dovrebbe quindi costituire la dimensione in cui comprendere il mondo. Comprenderlo per dominarlo? In questa prospettiva anche il dolore psichico richiede ovviamente una comprensione, un dominio che richiama immediatamente l'urgenza di una sedazione di qualunque tipo.
    Mi sembra evidente non solo una negazione della dualità natura cultura ma, se mi consenti, una negazione che travolge Dio nel senso in cui Lacan intendeva la rimozione originaria, ciò che tra l'altro garantisce primariamente l'esistenza dell'inconscio, di ciò che non sottostà a nessuna presa, di ciò a cui non è possibile dare nessun senso. Di ciò che mi relaziona all'Altro nell'inquietudine. Di conseguenza di ciò che non ammette padroni. L'intento di eliminare il dolore quanto coinvolge e comporta la negazione dell'inconscio? L'idea "risolutiva" di ridurre il mentale al biologico non implica la fine dell'inquietudine che mi rapporta all'Altro? In questa prospettiva il panico può costituire una risposta alla presunzione tecnologica di dominare il mondo, il sintomo di quello che nell'articolo sulla precarietà chiami la strategia biopolitica di silenziamento? Avviene come se dinanzi a un "impossibile che è niente" la fine del mondo (e mi riferisco anche al recente film) fosse l'unica via di uscita.
    L'ascolto del dolore...mi pare lontano da questa logica...come ciò che contraddistingue l'esperienza analitica "anche" nella sua inquietudine.

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  2. In effetti la logica che riduce tutto al calcolabile è all'origine anche della modalità di gestione e di controllo attraverso la valutazione, su cui c'è stato in questi giorni a Parigi Forum coordinato da Bernard-Henry Lévy. La coerenza tra la riduzione biotecnologica del mondo e le procedure di valutazione spiega perché le attuali burocrazie s'intendano così bene con l'ideologia scientista.
    Sul fondo di tutto questo c'è il posto da riservare alla sorpresa, il thaumazein (su questo c'è un bel corso al College de France tenuto da Michael Edward). Il mondo fondato sul calcolo non lascia spazio alla sorpresa, ed è il motivo per cui tutto ciò che si configura come sorpresa diventa fattore d'inquietudine, quando non apertamente d'angoscia. La grande diffusione degli attacchi di panico (riceviamo in misura crescente pazienti che presentano questa problematica) è senz'altro da correlare con il fatto che, nell'epoca del calcolo onnivoro, alla sorpresa è lasciato solo il lato negativo, di ciò che quando appare scompagina l'ordina del mondo.

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  4. Ecco ciò che scrive Bernard-Henri Lévy su "Le Point" dell'11 febbraio, a proposito del Forum sulla valutazione da te citato: "Et puis qui dit évaluer dit chiffrer et qui dit chiffrer dit, par définition, réduire un humain à sa part quantifiable, éliminer de lui tout ce qui est désir, libido, caprice, lapsus, accidents de l’inconscient ou de l’âme, bref, vie – et c’est donc, qu’on le veuille ou non, le transformer quasi mécaniquement en non-vivant, en zéro, en déchet et, à terme, selon la plus ou moins grande résistance de chacun, le pousser peut-être au suicide".

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  5. " La valutazione vuole ridurre un umano alla sua parte quantificabile, eliminare da lui ciò che è desiderio..."(Lévy). Secondo Agamben in "Che cos'è un dispositivo?" all'origine di ogni dispositivo starebbe da un lato la SEPARAZIONE, che qualifica soprattutto la religione(e che comporta un sacrificio), e dall'altro la CATTURA del desiderio in una sfera separata. Si tratta nel caso della religione di sottrarre all'uso comune cose, luoghi, animali, persone per trasferirle nella sfera divina. Anche secondo Agamben - in altri termini forse rispetto a quelli evocati da Lévy - si tratta nei nuovi dispositivi di una desoggettivazione. Il mondo fondato sul calcolo diventa il "divino" che sacrifica l'umano(paradossalmente, visto che parlavi appunto di biologia). Riprendersi il desiderio (catturato o misurato da dispositivi biometrici nella loro presunzione di gestirlo, ma anche da cianfrusaglie e tecnologie di ogni tipo) diventa un esercizio di PROFANAZIONE che in molti aspetti mi ricorda la nostra pratica. "...profanare significava restituire all'uso e alla proprietà degli uomini". La profanazione restituisce spazio alla soggettività?

    Mi piace citare qui Rainer M. Rilke: "Non dimenticare mai di formulare un desiderio, Malte. Mai RINUNCIARE ai desideri. Io credo che non ci siano adempimenti, ma desideri che durano a lungo, tutta la vita, tanto che non potremmo aspettarne l'adempimento" (da "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

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