domenica 17 aprile 2011

Riflessioni sul successo in psicoanalisi e in psicoterapia


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4 commenti:

  1. Mi soffermo sul "ratage", sul far cilecca, come tocco dell'impossibile.
    E' dunque l'emergenza del reale che fa la specificità della psicanalisi rispetto alle ideologie del benessere e del successo? E il ratage, il far cilecca, mi fa pensare anche al non realizzato. In "Nomina non sunt consequentia rerum" Lacan dice: " E' un grosso guaio che non si possa concepire il reale se non in quanto improprio. Non è come il linguaggio. Il linguaggio è improprio a dire cose qualsiasi, il reale è improprio a essere realizzato. Secondo l'uso del termine to realize, altro non vuol dire se non ‘immaginare come senso’. E l'idea stessa di reale comporta l'esclusione di ogni senso. Solo in quanto il reale è svuotato di senso possiamo un po' apprenderlo”. Ecco, mi pare di ritrovare qui quello che tu chiami il tocco dell'impossibile.
    E altrove sempre Lacan afferma "La psicanalisi non è un progresso. E' una scorciatoia pratica per sentirsi meglio. Questo sentirsi meglio non esclude l'abbrutimento, anzi tutto sta a indicarlo". Mi pare di ritrovare questi elementi nel caso seguente.
    Una donna nel corso di molte sedute di analisi s'arrabatta a cercare il senso dei suoi sintomi e nel contempo a cercare nell'Altro la causa del suo malessere. C’è però un episodio dirompente: in un confronto con il suo compagno si è comportata suo malgrado “come sua madre" (quella madre che ha tenuto lontano da sé, quella madre a cui non ha mai voluto assomigliare). Questo le fa sentire un senso di perdita, di inconsistenza, le sembra di cadere a pezzi, le sembra tutto inutile, le sembra di non avere concluso nulla, di avere costruito su qualcosa di poco solido Di questo parla per alcune sedute. C’è una caduta del senso, un punto di arresto, un limite. Ma è proprio questo insuccesso, questo fallimento della sua costruzione (così la chiama, e insistono nel discorso queste metafore “edili”) che le dà d'improvviso l'idea che ora sì può davvero ricominciare anche se deve ricominciare da un “mucchietto di macerie”. Ancora una metafora che allude al resto, al rifiuto, al sicut palea. E’ con questo che ora deve misurarsi per un po'apprendere(vedi sopra Lacan) quel reale svuotato di senso.

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  2. L'esempio del tuo caso mi sembra preciso: crollano le certezze identificative, il soggetto si trova messo a confronto con quel che è non-io, e si apre la possibilità della rettifica soggettiva, che è il vero tempo attivo della cura. C'è il momento in cui il soggetto smette di dare la colpa all'Altro e si mette in causa, e questo può avvenire attraverso un momento catastrofico, che è un incontro con il reale.
    La psicoanalisi come una scorciatoia per sentirsi meglio, questa definizione di Lacan che riporti, mi sembra la migliore per inquadrare la situazione rispetto al problema che ponevo nel testo:lapidaria ed efficace.

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  3. Grazie per questo articolo e queste riflessioni, davvero interessanti.
    La lettura mi ha fatto venire in mente, in modo frammentario, alcune riflessioni:

    - davvero si cerca nella cura - nell'analisi, nella vita - una "riuscita", un "successo"?

    - si dice "stare" meglio - e il verbo "stare" denota una inamovibilità, un impossibile muoversi: se sto, non mi muovo, finchè sto forse sto meglio, ma non vado da nessuna parte;

    - si dice però anche "sentirsi" meglio, e sentire è un verbo di sensi, può essere un ascoltare (sentire meglio se stessi, essere maggiormente in grado di ascoltarsi), oppure di sentimenti diversi, sentirsi nel senso di acquisire consapevolezza, provare a cercare i confini, le dimensioni (meta)fisiche di se stessi, se "se stessi" è qualcosa che possiamo provare a "sentire";

    - c'è anche un segno: meglio implica necessariamente una misura, che sia soggettiva od oggettiva, comunque esiste un "più" ed un "meno": forse anche questo va criticato o messo in dubbio, che la cura, la guarigione, il qualcosa di indefinibile che si cerca sia nel segno di una quantità e non invece di una qualità diversa: forse si cerca la sorpresa, la scorciatoia appunto, la strada non vista o che si era evitato di vedere perchè nascosta dal sintomo;

    - l'analisi non è mai - per me - nel senso dello "stare", e nemmeno nel segno del "meglio" (più), semmai mi torna in mente la metafora degli attrezzi, è una ricerca di strumenti che si sono dimenticati, o di cui non si sa che utilizzo fare, un'apertura di possibilità, l'ammissione di una sconfitta che non ci rende per questo perdenti.

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  4. Le tue riflessioni incentrate sullo stare mi sembrano particolarmente appropriate. Penso in effetti che la "guarigione" (mettiamo le virgolette a questo termine rubato alla medicina) in psicoanalisi non sia uno stato, ma sia piuttosto una possibilità da non dare come acquisita, ma a partire dalla quale lavorare. Lacan diceva che la psicoanalisi termina quando il soggetto e' soddisfatto. In effetti, non c'e nessuna soddisfazione definitiva, e il soggetto e' soddisfatto quando ha cambiato posizione rispetto alle antinomie del proprio desiderio. Ma si tratta per l'appunto di una posizione dinamica, tutt'altro che statica.

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