lunedì 18 novembre 2013

La nevrosi ossessiva

Conferenza tenuta il 22 giugno 2013 a Madrid, presso la sede dell'Escuela lacaniana de psicoanalisis


La parte del seminario Le formazioni dell’inconscio su cui dobbiamo lavorare oggi ha come tema centrale la dialettica tra la domanda e il desiderio. Questa dialettica prende avvio con la distinzione individuata da Lacan tra desiderio e bisogno, e ha il proprio asse nella nozione di fallo, la cui definizione in termini di significante occupa tutta la parte finale del seminario.
Su queste basi, gli argomenti clinici principali che incontriamo nel seminario riguardano così la definizione del desiderio insoddisfatto nell’isteria, del desiderio annullato nella nevrosi ossessiva, e le diverse strategie nevrotiche nel rapporto con l’Altro a partire delle quali Lacan fornisce l’orientamento necessario per la conduzione della cura
Pur partendo da un concetto che potrebbe sembrare piuttosto astratto come le formazioni dell’inconscio, e della lettura di un testo di Freud a quell’epoca senz’altro poco considerato, poco letto dai clinici, come Il motto di spirito, Lacan giunge nel corso del seminario a sviluppare una stringente analisi del quadro clinico della nevrosi, mettendo a confronto i fenomeni che nella nevrosi ossessiva possono apparire simili a quelli della psicosi, pur fondandosi su diverse strutture, sviluppando la critica di una conduzione della cura retta a suo parere dalla suggestione  e distinguendola – grazie ai grafi che va costruendo durante il seminario – da una pratica  che ha la propria bussola nella traslazione.

La ripresa del concetto di pulsione

Possiamo dunque considerare Le formazioni dell’inconscio come uno dei seminari più ricchi, più istruttivi sul piano clinico e della pratica analitica. Credo dobbiamo però vedere come tutto questo importante sviluppo di temi clinici si muova sullo sfondo di un problema teorico che si fa luce nel corso del seminario, che lo percorre poi in tutta sua lunghezza, che trova qui una soluzione parziale, e che avrà pieno sviluppo solo nella metà degli anni Sessanta.
Il concetto che viene qui problematizzato, e che viene ripreso nel discorso di Lacan dopo essere stato espulso agli inizi del suo insegnamento, è quello della pulsione.
Il testo inaugurale dell’insegnamento di Lacan, quello che ne segna l’inizio, Funzione e campo della parola e del linguaggio, contiene infatti una vera e propria squalifica del concetto freudiano di pulsione, che viene ripresa negli stessi termini nel primo seminario su Gli scritti tecnici di Freud. Lacan sostiene infatti qui che la pulsione non è per niente un concetto di base nella psicoanalisi, è piuttosto al vertice della costruzione psicoanalitica, ed eminentemente astratta. Riconduce poi la funzione libidica all’immaginario, sostituendo all’idea freudiana di un conflitto tra pulsioni dell’io e pulsioni sessuali, la problematica di una dialettica tra immaginario e simbolico, e per il seguito la nozione di pulsione viene equiparata a una tendenza, e quando ricorre nel suo discorso viene sempre usata in questa accezione. La libido, così definita, è ciò che aderisce alle esche immaginarie, e fa da innesco ai comportamenti erotici.
Sullo sfondo di questa definizione c’è evidentemente l’etologia di Lorenz e di Timbergen, dove è sempre la configurazione di una specifica immagine a innescare i diversi comportamenti animali, predatori, di accoppiamento, di nutrizione.
Lacan riprende questo aspetto dell’etologia per collegare la libido all’immaginario, e per mostrare come nell’esperienza analitica l’immaginario affiori nei momenti di frattura, d’inciampo nel funzionamento della catena significante.
Il simbolico, in questa fase,  è considerato autonomo, c’è un’autonomia della catena significante. Normalmente il simbolo domina l’immaginario, e nei momenti di mancanza, d’interruzione, di stasi del significante, l’immaginario di nuovo prende il sopravvento. L’immaginario, da questo punto di vista, come recettore della libido, è quindi soltanto un fattore di disturbo nel funzionamento del simbolico.
Nel seminario quinto su Le formazioni dell’inconscio inizia tuttavia una riconsiderazione del concetto di pulsione, e proprio a partire della dialettica tra domanda, desiderio e bisogno, a partire cioè dal momento in cui Lacan comincia a dare una trascrizione simbolica della pulsione.
Si avvia quindi, con il seminario quinto, e in particolare nella quarta parte, quella conclusiva, una riqualificazione della pulsione a partire dalla sua trascrizione simbolica, ed è una riconsiderazione avviata qui e che trova compimento nel seminario successivo, il sesto.

Il ruolo dell’intersoggettività

In questa fase Lacan considera l’analisi come una relazione intersoggettiva, caratterizzata dal fatto di trovarsi in relazione con un soggetto parlante. Lacan sottolinea questo aspetto per marcare una differenza rispetto alla psichiatria e alla nosografia classica, e quindi rispetto all’epistemologia medica che informa il rapporto tra il medico e il malato, dove l’atto medico è in rapporto con qualcosa di oggettivo, con l’oggetto malattia. Se quest’epistemologia trasferita tale e quale alla psicoanalisi, risulta inoperante, nello stesso modo in cui risulta inerte, dal punto di vista terapeutico, la psichiatria classica, che peraltro non è nata con ambizioni terapeutiche ma classificatorie.
La psicoanalisi non è dunque in rapporto con un oggetto, ma con un soggetto parlante, e quindi non con un elemento passivo, ma con qualcuno implicato attivamente.
Cosa significa questo? Significa innanzi tutto che abbiamo a che fare con un desiderio, e non con il sentimento di una spinta oscura e radicale a cui altrimenti sarebbe ridotta la pulsione (crf. Le desir et son interpretation p.795).
Il desiderio è quindi innanzi tutto la soggettivazione di questa spinta. La soggettivazione avviene attraverso il fatto che la pulsione esiste ed è definita, secondo Lacan, solo all’interno di una “sequenza temporale” – sono le sue parole – ed è questa sequenza che chiamiamo catena significante.
Tutte le proprietà e le incidenze con cui abbiamo a che fare in questa spinta – la pulsione ridefinita attraverso la catena significante – la disgiungono completamente da tutto ciò che potrebbe situarla come vitale, la rendono essenzialmente separabile da tutto ciò che la definisce nella sua consistenza vitale.
Chiaramente questo apre la strada a un ripensamento, a una riconsiderazione della pulsione di morte.
In questa prospettiva, sopratutto, si segna il distacco tra la struttura significante, presa nella sua autonomia, e la realtà naturale dalla quale il significante si separa per definirsi come autonomo. Qual’è qui l’aspetto significativo? La posta in gioco è l’iscrizione della psicoanalisi nel discorso scientifico, che per Lacan in quegli anni è un obiettivo perseguito attraverso il paradigma strutturalista, che prende per l’appunto appoggio sull’autonomia dal simbolico.

La vita è altrove

È il motivo per cui Lacan critica (all’inizio del cap. XXIII) la tendenza riduzionista che tende a interpretare Freud come il rappresentante di una sorta di naturalismo, il cui sforzo sarebbe di ridurre la realtà umana alla natura. Andare in questa direzione sarebbe un modo di assoggettare la psicoanalisi a una epistemologia delle scienze naturali, al modello della fisica, ed è la via che si è tentato di seguire nel mondo anglosassone.
Lacan considera piuttosto che l’opera di Freud afferma un patto tra l’essere dell’uomo e la natura. Cosa significa?
È interessante qui il termine di patto che Lacan utilizza, perché un patto passa necessariamente attraverso la parola, la parola data. Lacan vede infatti l’uomo di fronte alla natura “in una postura diversa da quella di un portatore immanente di vita.” Questo implica una critica alla definizione classica dell’uomo come animal rationale, come zoon logon echon.
Non essere un portatore immanente di vita significa per il soggetto essere esterno alla vita, significa che la vita non gli appartiene in modo immediato, che è qualcosa con cui deve trovare il contatto. Si sente a volte nella clinica l’espressione di questa esigenza, come il paziente che dopo avermi raccontato dettagliatamente dei sogni con un ampio sviluppo narrativo insorge e li rifiuta dicendo: “Basta con i film, ora voglio entrare nella vita vera”. Dov’è però la vita vera? “La vita è altrove” è un titolo di Kundera che esprime perfettamente quest’idea, ed è un tema letterario che va da Rimbaud a Breton, a Kundera. Questo senso di distacco dal flusso profondo della vita è uno dei grandi temi moderni, e sicuramente quando nei suoi ultimi testi Lacan sostiene che dalla vita non sappiamo niente, che solo possiamo provare un godimento della vita, la vita diventa uno dei nomi del reale. La vita è irrelata rispetto al parlessere, che se ne sente traversato senza poterla cogliere.
Nel momento però in cui Lacan persegue l’inscrizione della psicoanalisi nella scienza isolando il significante, definendo l’autonomia del simbolico, si rende conto tuttavia di non poter ridurre l’uomo al puro meccanismo significante, sente che deve esserci almeno un punto in cui questo meccanismo si collega alla vita, un punto in cui il soggetto parlante non è solo fatto di parole, e il senso del patto è questo: attraverso la parola ricongiungere le parole con la vita.

La funzione del fallo

Il punto in cui il sistema significante si ricongiunge con la vita, ciò che sigla questo patto, è il significante fallico, che Lacan definisce qui come: “Il punto centrale, il più sensibile e il più significativo di tutti gli incroci significanti che esploriamo nel corso dell’analisi del soggetto.”
Il fallo è uno dei temi centrali del seminario di cui ci stiamo occupando. Lacan lo introduce plasmandone, trasformandone man mano il concetto, e questo è stato uno degli aspetti su cui Miller ha particolarmente insistito nella sua lettura del Seminario V. Il libro che racchiude il Seminario V, ha detto, è un libro dove l’inizio non è contemporaneo della fine. Questo significa che non ha il carattere sistematico di un’esposizione di concetti compiuti, ma piuttosto è una ricerca in continuo movimento, da una lezione all’altra, e lo si nota in particolare per quanto riguarda la nozione di fallo. Miller vi ha particolarmente insistito, è stato uno degli assi portanti sua lettura di questo seminario. Il fallo, che viene introdotto come fallo immaginario e come significato nell’operazione della metafora paterna, si trasforma poi in significante, perché essendo il significato in modo elettivo, rappresentando il fatto stesso del significato, deve essere indicato come un significante, il significante di tutti gli effetti di significato. Si tratta quindi di uno spostamento fondamentale, di una tensione interna a una delle nozioni nodali di questo seminario.
Nella parte che ci interessa oggi questo spostamento d’accento dal fallo come significante al fallo come significato si è già realizzato, e questa nozione prende il suo pieno sviluppo come significante del desiderio.

Iil desiderio nell’isteria

Lo sviluppo che Lacan dà, in questa parte, alla nozione di desiderio, è illustrato nelle diverse strutture dell’isteria e della nevrosi ossessiva, e possiamo dire che è qui più che in ogni altro passaggio del suo insegnamento che Lacan mette in luce una vera e propria clinica del desiderio.
Attraverso l’analisi diventata classica del sogno della bella macellaia, Lacan ha caratterizzato il desiderio isterico come essenzialmente insoddisfatto.
La bella macellaia domanda l’amore, perché la domanda d’amore è la domanda che si profila all’orizzonte di ogni domanda, ma desidera caviale, e al tempo stesso però non vuole che le si dia caviale.
Cosa ci mostra in realtà Lacan in questo caso? Che è l’Altro che l’isterica deve mantenere insoddisfatto per avere nell’Altro un posto come soggetto.
L’insoddisfazione del desiderio nell’isteria è fortemente correlativa alla struttura per cui il desiderio è il desiderio dell’Altro. Ora, nella dialettica tra domanda e desiderio, Lacan parla di un carattere incondizionato della domanda, e di una condizione assoluta del desiderio. Cosa significa?
La domanda trascrive nel significante l’espressione del bisogno e formula, mette in forma nei termini dell’Altro la richiesta, l’esigenza del soggetto. Il soggetto non può ottenere soddisfacimento se non passando attraverso l’Altro. Non c’è una presa diretta del soggetto sull’oggetto di soddisfacimento, occorre la mediazione dell’Altro, e quindi è necessario passare per il circuito della domanda. Il fatto che sia indispensabile la presenza dell’Altro significa che la domanda, al di là di tutti gli oggetti richiesti, si rivolge innanzi tutto alla presenza o all’assenza dell’Altro, ed è in questo senso che diventa domanda d’amore.
Il carattere incondizionato della domanda è quello della domanda d’amore, ed è incondizionato nel senso kantiano, è cioè indipendente da ogni condizione sensibile o fenomenica.
Il desiderio invece, al di là della domanda, è una condizione assoluta. Qui troviamo propriamente uno sviluppo dialettico in senso hegeliano: la tesi è il bisogno, l’antitesi che lo nega è la domanda d’amore, il desiderio è l’Aufhebung, ed è condizione assoluta perché conserva il distacco dall’elemento sensibile costituito dal bisogno, e lo innalza al carattere irriducibile della mancanza, della pura perdita siglata dal fallo.

La nevrosi ossessiva

Nella nevrosi ossessiva, che Lacan studia nell’ultima parte del seminario, questa dialettica va in cortocircuito, le cose si ribaltano, ed è la domanda ad assumere il carattere di condizione assoluta.
Cosa significa che la domanda assume il carattere di condizione assoluta? Vuol dire che il desiderio non si presenta come un’apertura della domanda, ma insiste nella domanda stessa.
Mentre nell’isteria l’apertura della domanda porta ad appoggiare il proprio desiderio all’identificazione con l’altro immaginario, e a sviluppare l’intersoggettività dove il desiderio è il desiderio dell’altro, il desiderio nella nevrosi ossessiva si avvita sulla domanda arroccandosi in modo intrasoggettivo.
Nella nevrosi ossessiva l’intersoggettività infatti si chiude, la domanda si ripiega su se stessa, s’intrappola nelle proprie antinomie. La domanda non è allora ciò che proietta verso un al di là, il desiderio, non proietta al proprio orizzonte la domanda d’amore come richiesta delle presenza dell’Altro.
La domanda include invece la condizione assoluta del desiderio, include il fallo, e in questo diventa ossessiva, diventa idea fissa, come illustra Lacan con l’esempio del bambino che chiede una scatolina, e  sarebbe una richiesta normale, ma che viene formulata in modo tale da risultare insopportabile per i genitori, e che viene reiterata incessantemente, come un assillo.
Per l’isterico l’Altro è l’intermediario che dà accesso al suo desiderio, e da qui nascono le difficoltà che lo fanno incontrare con quel che si può chiamare l’estraneità del desiderio – giacché l’Altro è posseduto a sua volta da un suo desiderio – e il fantasma attraverso l’identificazione isterica trova una sua via di realizzazione.
Per l’ossessivo invece, dice Lacan, i fantasmi restano allo stato di fantasmi e si realizzano solo in situazioni eccezionali, che restano poi per il soggetto deludenti.

La macchina per fare l’amore

Cosa significa? Per esempio ho visto per diversi anni un ossessivo la cui richiesta iniziale era di avere successo con le donne, e l’idea che di questo si era fatto era avere successo consistesse nell’imparare le tecniche per conquistare le donne. Non voleva quindi parlare con le donne, corteggiarle  e conquistarle, ma acquisire delle potenzialità oggettive, che immaginava andassero da protocolli su cosa dire al primo incontro, a ricette su come condurre il discorso dopo i primi contatti, fino all’ipnosi, considerata come un potente strumento in grado di aggirare la loro volontà per farle cadere nella sua rete. Un giorno questo paziente fa una sogno dove va in auto con una ragazza fino a un luogo nella periferia di Milano, umido e nebbioso. Lasciano la macchina per passeggiare. Camminano a lungo, fino a perdere di vista l’auto, e a un certo punto si rende conto che la ragazza è disponibile. Deve approfittare dell’occasione, ma non può farlo lì, in un campo umido e sterrato. Torna indietro allora a cercare “la macchina per far l’amore”. Naturalmente intende dire che vuol tornare all’auto per appartarsi con la ragazza, ma l’equivoco della “macchina per fare l’amore” è in questo caso particolarmente significativo. La sua idea dell’approccio con una donna è in effetti completamente meccanica, e nella “macchina per fare l’amore” non possiamo non riconoscere la dimensione fallica, che si presenta qui non come espressione del desiderio, ma come automatismo che prende il posto della messa in gioco del desiderio. Cosa si vede qui chiaramente? L’inclusione del fallo nella domanda, sin dalla sua prima formulazione, e l’esclusione del desiderio dell’Altro, giacché l’idea non è di risvegliare e attrarre a sé il desiderio femminile, ma di far entrare la donna negli ingranaggi di un meccanismo che sostituisce il gioco desiderante con il controllo tecnico, realizzando la separazione del significante fallico dal desiderio.
In questo soggetto vediamo in fondo verificarsi la riduzione del fallo da significante del desiderio a strumento, quello strumento sulla cui presenza Lacan insiste nella descrizione del fantasma sadico e che ha un posto di rilievo nell’economia dell’ossessivo
Che lo strumento sia rappresentato dalla frusta o dal priapo, che spesso compaiono nelle descrizioni dai libertini sadiani, ne è comunque chiaro il funzionamento, cioè essere il tramite di un imposizione di godimento, provocare nella vittima – la vittima sadiana per eccellenza è Justine, l’innocente – un orgasmo contro la sua volontà, un orgasmo che deve essere comprovato e reso visibile da quel che Sade chiamava eiaculazione femminile, e che oggi si chiamerebbe squirting.
Naturalmente se questo dispositivo funziona molto bene nelle inscenazioni sadiane, ha evidentemente importanti contraccolpi nel nevrotico, dove genera senso di colpa. L’ossessivo deve infatti fare i conti con un superio particolarmente accentuato.

L’exploit dell’ossessivo

L’effetto del superio si manifesta in modo particolarmente evidente nella tipica condotta dell’ossessivo – che Lacan descrive molto bene – di chiedere il permesso. Se per l’isterico il desiderio è preso nella logica della trasgressione, nella logica sans-foi, nell’ossessivo c’è invece una dipendenza dall’Altro, c’è la necessità di subordinarsi alla logica del merito, e occorre aver fatto il proprio dovere per poter godere con il consenso dell’Altro.
Si ha così il tema dell’exploit. L’ossessivo si assoggetta docilmente al proprio dovere,  fa il proprio lavoro, esegue senza discutere i compiti più duri e più spossanti. Il lavoro è potente nell’ossessivo – dice Lacan – perché è svolto con diligenza per liberare il tempo dalla grande vela, che sarà il tempo delle vacanze. Naturalmente poi le vacanze saranno deludenti, saranno passate in coda in macchina per raggiungere una splendida località turistica sovraffollata e invivibile. Ma non importa, quel che conta è ottenere il permesso dall’Altro.

Slittamenti progressivi di piacere

Ho visto un paziente sposato con una donna che non amava, che ha corteggiato a distanza per dieci anni la donna dei suoi sogni, con piccoli avvicinamenti progressivi, senza mai forzare, senza mai passare la soglia dell’atto. Sono quei glissements progressifs du plaisir di cui parlava Alain Robbe-Grillet.
Slittamenti progressivi di piacere mi sembra una descrizione perfetta delle modalità erotiche  dell’ossessivo: si tratta di procedere con piccoli passi infinitesimali, senza mai rompere gli argini, come invece fa l’isterico, e di far avanzare il desiderio in clandestinità, o di mimetizzarlo, come dice Lacan.
La cosa interessante è che l’ossessivo in questa dialettica non si mette mai a repentaglio, non entra in nessuna situazione che costituisca un rischio per la posta maggiore, quella fallica.
In effetti, quel che conta non è mai messo in gioco nell’exploit, il suo desiderio non ha niente a che fare con ciò su cui il soggetto dimostra le proprie capacità. Non incorre, in altri termini, nella castrazione, non concorre per conquistare il premio, il fallo, per accedere al desiderio dell’Altro, perché – dice Lacan – l’Altro con cui gioca in fin dei conti non è mai se non un altro che è lui stesso, che di partenza gli lascia la palma della vittoria.
È però proprio perché il fallo è incluso nella domanda che il rapporto con l’altro non si sviluppa in una dialettica dove il desiderio del soggetto è il desiderio dell’altro, ma in un rapporto di distruzione.
Il desiderio dell’ossessivo è bloccato perché di fondo è un desiderio di distruzione, e da parte del soggetto c’è il timore, manifestando il proprio desiderio, di poter subire una ritorsione equivalente da parte dell’altro, di essere distrutto nello stesso modo in cui vuole distruggere.
Ritroviamo in questo seminario riformulata la strategia dell’ossessivo che Lacan aveva già descritto in Funzione e campo presentandola come una variante alla lotta mortale tra schiavo e padrone. Lo schiavo si è sottratto alla morte, ne ha evitato il rischio che avrebbe dovuto affrontare nella lotta di puro prestigio. Sapendo però di essere mortale, sa che anche il padrone lo è, e che anche lui può morire. Accetta quindi di lavorare per il padrone e di rinunciare nel frattempo al godimento. Resta così in attesa e subisce così una duplice alienazione: l’espropriazione del prodotto del proprio lavoro e la mancata realizzazione della propria essenza nell’opera di questo lavoro, perché nell’attività che fa per il padrone lui “non c’è”. Dov’è allora? È nel momento, che anticipa, della morte del padrone, momento a partire dal quale potrà vivere. Con la morte del padrone, idealmente, comincia la festa.
La logica dell’exploit dell’ossessivo nel Seminario V riprende la strategia hegeliana descritta in Funzione e campo.
L’ossessivo può lavorare, può fornire prestazioni eccezionali, si guadagna dei meriti presso uun padrone che non lo riconosce, e aspetta che questi muoia.

La differenza tra l’exploit e l’acting out

Se riprendiamo questo aspetto capiamo meglio la differenza che Lacan fa qui tra l’exploit dell’ossessivo e l’acting-out, dove sembra quasi descrivere l’exploit come una forma particolare di acting-out. La differenza che mette in risalto però è che l’acting-out è un messaggio. Cosa vuol dire? L’exploit non è un messaggio? Non è forse realizzato per comunicare all’Altro la propria bravura e guadagnare punti ai suoi occhi? Il fatto determinante è che tuttavia nell’exploit il soggetto “non c’è”, mentre nell’acting-out il soggetto “c’è”. L’acting-out si verifica in una logica intersoggettiva, il soggetto cerca l’altro, mentre nell’exploit l’ossessivo attende solo la sparizione dell’altro.
Ora, con queste premesse, qual è la posizione che l’analista deve tenere nella direzione della cura? Lacan affronta il problema da un’angolatura classica, quella della differenza tra la traslazione e la suggestione. Si tratta di un punto di vista che riprende un tema tradizionale nella storia della psicoanalisi, e che rispecchia un dibattito importante degli anni Venti.
Essendo nata nella stessa culla dell’ipnosi, la psicoanalisi ha inizialmente bisogno di definire i propri termini, scartando e lasciando sullo sfondo quelli che caratterizzano l’ipnosi.
È il problema di definire l’identità della psicoanalisi, che ne traversa la storia. La psicoanalisi si definisce differenziandosi. La questione si ripresenta con forza rinnovata negli anni Cinquanta con il dibattito sugli standard. Nel momento in cui cominciava a farsi strada una psicoterapia di ispirazione psicoanalitica – penso in particolare ad Alexander, ma è solo il pioniere di una tendenza poi sempre cresciuta – gli psicoanalisti devono definire gli standard che caratterizzano la psicoanalisi, e il dibattito sugli standard – con i quali Lacan, sappiamo, entra in polemica – è solo un capitolo in questo vasto tema sull’identità della psicoanalisi.

Traslazione/suggestione

Nel Seminario V Lacan usa l’opposizione traslazione/suggestione per definire la posizione dell’analista, che dunque è definito avendo sullo sfondo il ricco filone del dibattito sull’identità della psicoanalisi.
Nel grafo Lacan distingue bene la linea della traslazione e quella della suggestione, anche se si rende ben conto di come sia sottile il confine che le separa – e per concettualizzarne la distinzione fa leva sulla definizione della domanda.
Che cos’è dunque la domanda? Nel modo più semplice possiamo dire che la domanda è un’articolazione significante con la quale il soggetto chiede soddisfacimento. Sappiamo però che all’orizzonte della domanda relativa all’oggetto di un bisogno c’è la domanda d’amore, la richiesta della presenza dell’Altro. Questa richiesta si apre su una diversa articolazione significante che, dice Lacan, è quella della traslazione.
A partire da questo problema si pone una questione fondamentale nella conduzione della cura, che spiega perché lo psicoanalista non debba rispondere alla domanda. Abbiamo appena visto infatti  che la domanda è domanda di soddisfacimento. Qualunque risposta risulterebbe tuttavia  insoddisfacente, perché dietro da domanda di soddisfacimento c’è la domanda d’amore. Sospendere la risposta porta quindi la domanda ad articolarsi in modo diverso, a svilupparsi come domanda d’amore e a instaurare la dimensione della traslazione. Diversamente, ogni risposta alla domanda nella sua forma iniziale risulta suggestiva, perché la blocca sul circuito del bisogno.
Ci si può per altro verso rendere ben conto delle antinomie presenti in questa posizione. L’operazione che permette di tenere distinti il piano della suggestione da quello della traslazione è l’astensione, il fatto di non ratificare la domanda. Lacan nota tuttavia che con il fatto stesso di essere lì, presenti ad ascoltare, ad accogliere la domanda, consentiamo che surrettiziamente s’insinui un’altra forma di soddisfazione, che non è reale, che avviene solo sul piano verbale, ma è sufficiente. È quel che un po’ di anni dopo, nel Seminario XX, Lacan avrebbe chiamato la soddisfazione del bla-bla-bla, ed è quel che facilmente può portare l’analisi verso la china dell’interminabile.
Con la nostra presenza siamo nocivi, dice Lacan, perché la presenza stessa è una risposta, e di per sé confonde nuovamente il piano della suggestione con quello della traslazione. È il versante per cui la traslazione realizza una chiusura dell’inconscio o, per altro verso, è quel che Freud identificava come resistenza nella traslazione. Il soggetto si incanta a parlare con qualcuno che lo gratifica del proprio ascolto, che lo riconosce, e questo lo fa entrare in un circuito infinito. È il motivo per cui occorre un taglio.
C’è qualcosa infatti tra le due linee della traslazione e della suggestive, qualcosa che resiste alla suggestione, che fa si che anche nell’ipnosi il soggetto non ne sia mai completamente preda, ed è il desiderio.
Ora il seminario in cui sviluppa più ampiamente il tema del desiderio è quello dell’anno successivo, che ha come titolo Il desiderio e la sua interpretazione, dove il punto di interessante novità sarà l’articolazione del desiderio con il fantasma.

Il Nome del Padre e il metalinguaggio

Nel seminario V, abbiamo visto, è pienamente sviluppata una clinica del desiderio, insoddisfatto, vietato, bloccato, e anche qui il desiderio è presentato già in rapporto con l’interpretazione, ma c’è una differenza, e credo che il modo in cui viene presentato il desiderio in questo seminario dipenda dal fatto che viene qui subordinato a una norma, chiaramente espressa nella metafora paterna. Il fatto che il desiderio sia sottoposto a una norma deriva dalla concezione che Lacan si fa della struttura dell’Altro. In questo seminario l’Altro è il luogo della parola, ma è un luogo che in quanto tale deve essere a sua volta simbolizzato, il che significa che c’è un Altro dell’Altro.
C’è l’Altro come simbolico, e c’è un’ulteriore livello del simbolico che deve simbolizzare questo luogo.
La definizione dell’Altro che Lacan introduce qui non ha nulla di arbitrario, ed è perfettamente congruente con i risultati della logica contemporanea.
Possiamo rapidamente vedere di cosa si tratta. La logica contemporanea nasce infatti dal tentativo da parte di Frege di fondare la matematica su basi logiche. Frege dedica a questo progetto uno straordinario sforzo i cui risultati raccoglie nel suo grande lavoro I fondamenti dell’aritmetica.  Si sa però come va la storia: appena pubblicati I fondamenti Frege riceve da Russell una lettera  dove gli segnala un vizio formale che fa crollare tutta la costruzione.
Russell però non vuole affatto demolire il lavoro di Frege, vuole anzi proseguirne il progetto, e si preoccupa di porre rimedio alla difficoltà incontrata da Frege. La difficoltà consiste nell’aver dato per scontato che data una definizione esista anche l’oggetto definito. L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi infatti, anche se definito con una proprietà del tutto ragionevole, dà luogo a un’antinomia insolubile.
Russell cerca di risolvere il problema attraverso il metodo della stratificazione. Le contraddizioni emerse nel tentativo di fondazione logica della matematica nascono, nell’analisi di Russell, dalla presenza di riflessività o autoriferimenti. Questo aspetto caratterizza la totalità illegittima, la cui esistenza nasce solo da un presupposto linguistico, ovvero la cui esistenza, da un certo punto di vista, è semplicemente illusoria. La totalità illegittima nascondono infatti quelle che vengono chiamate definizioni impredicative, espressioni che definiscono un ente facendo riferimento all’insieme a cui l’ente appartiene, creando così un circolo vizioso.
La stratificazione è fatta proprio per impedire questo circolo vizioso. Per parlare del livello uno occorre porsi al livello due, per parlare del livello due occorre porsi al livello tre, e così via.
Quando Lacan definisce la struttura dell’Altro come qualcosa che richiede un Altro dell’Altro, si pone su questo piano di pensiero predicazionista e stratificazionista.
Cosa troviamo allora al livello due dell’Altro, quello in cui si trova l’Altro dell’Altro che permette di simbolizzare il simbolico? Troviamo il Padre come “significante di secondo grado che autorizza e fonda tutto il sistema dei significanti.
L’Altro dell’Altro, il padre, è l’Altro della legge, l’Altro del padre morto che Lacan ritiene indispensabile perché altrimenti l’universo del linguaggio non potrebbe articolarsi in modo tale da mostrarsi efficace nella strutturazione del desiderio.
“Efficace nella strutturazione” è l’espressione utilizzata da Lacan, e credo che efficace in questo caso significhi “coerente”, consistente in senso logico. Il Padre è necessario perché il desiderio sia consistente, cioè normale. Il desiderio è normale se è regolato metalinguisticamente da un Altro dell’Altro paterno, e l’articolazione tra desiderio e fantasma che appare nel seminario dell’anno successivo si impone a partire dall’assunto che non c’è metalinguaggio, ovvero dalla messa in discussione della posizione paterna.
L’Altro è un luogo organizzato, dice Lacan, e non si capisce chi avrebbe potuto organizzarle se si prescinde dal Padre come luogo simbolico della legge. Non abbiamo ancora realizzato un’articolazione perfetta. – aggiunge – Formuliamo solo un’ipotesi di partenza, che serve per illustrare il nostro pensiero, per rendere conto di questa marca nell’Altro in quanto tale, che è la marca della castrazione.
L’Altro dell’Altro è dunque necessario perché la castrazione s’inscriva nell’Altro. La mancanza non appartiene al simbolico in modo immanente, la sua marca deve essere impressa dal padre. Ciò presuppone un Altro che esiste, un altro consistente, un Altro organizzato.
Lacan cambierà posizione esattamente l’anno seguente, nel seminario Le désir et son interpretation, dove afferma “Il n’y a pas d’Autre de l’Autre” che è l’asserzione dell’inconsistenza dell’Altro, l’affermazione della sua inesistenza.
Questo significa inscrivervi che la mancanza o l’antinomia come immanenti. Il fatto che l’Altro abbia in sé la marca della mancanza come desiderio, ci mostra che l’insoddisfazione isterica o il blocco del desiderio nell’ossessivo hanno una radice comune nel carattere antinomico del desiderio,  giacché desiderare significa desiderare ciò che non si vuole, o volere ciò che non si desidera. La mancanza allora non è imputabile al padre, e il padre diventa piuttosto uno strumento.

Il desiderio di annullare il desiderio dell’Altro

Quest’antinomia che implica un’oscillazione tra due corni opposti non dialettizzabili, è particolarmente evidente nella logica del desiderio ossessivo o in quel che nella tradizione psicoanalitica è passato con il nome di ambivalenza.
La logica del desiderio ossessivo è di annullare il desiderio dell’Altro e Lacan ci tiene qui a differenziare bene la struttura ossessiva da quella psicotica. Annullare il desiderio dell’Altro, dice è diverso dall’assoluta impossibilità di coglierlo, come nella psicosi, dove mancano per questo le basi strutturali. Se le basi mancano è perché la preclusione del Nome del Padre induce una carenza metaforica che non permette di realizzare il significante fallico. Qui, nella psicosi c’è preclusione, Verwerfung.
Diverso è quel che accade per l’ossessivo, che si fondo sulla Verneinung sul diniego del desiderio dell’Altro. Ovvero: il desiderio dell’Altro è articolato, esiste, ma ci si mette davanti il segno no. Se dunque l’ossessivo è portato attraverso i suoi meccanismi di difesa all’annullamento e all’isolamento è perché si tratta di isolare o annullare qualcosa che esiste. Le cose esistono, si formula allora una domanda, ma si formula come domanda di morte.
La domanda di morte ha come risultato di distruggere l’Altro, ma la distruzione dell’Altro del quale il soggetto dipende porta con sé la distruzione del soggetto stesso, e dunque isolare, il meccanismo dell’isolamento, ha anche la funzione di salvare il soggetto dalla distruzione.
È questo però il motivo per cui la domanda di morte manda in impasse il desiderio ossessivo. La domanda di morte infatti non riguarda il nemico, colui che sarebbe normale pensare di distruggere, ma l’essere amato come, nel caso dell’uomo dei topi, era la donna dei suoi pensieri, o come per il bambino può essere la madre con la  quale intreccia una relazione di odio-amore.
 Lacan qui gioca con le parole dicendo che la domanda di morte è la morte della domanda, perché è una domanda che, necessariamente, si auto-blocca, e lascia il desiderio in un’oscillazione perpetua. Man mano infatti che il desiderio si avvicina alla propria realizzazione si attenua, perché vuole la distruzione di un altro che ama e che desidera quindi per altro verso a tutti i costi preservare.
Anche qui Lacan articola il problema considerando una diagnosi differenziale con la psicosi, perché il soggetto psicotico invece nella distruzione va fino in fondo, coinvolgendo anche se stesso, come vediamo nelle stragi che avvengono ogni tanto nei college americani, culminanti quasi sempre con il suicidio del protagonista.
Nella psicosi, dove si è spezzato il legame con il sentimento della vita, sentimento dato dal significante fallico, la macchina della distruzione non si ferma, non incontra il punto di arresto e d’inversione della morte della domanda come nella nevrosi ossessiva.
Se le voci ordinano al soggetto psicotico di distruggere, il soggetto distrugge. La domanda di morte, nell’ossessivo è il contraltare della domanda d’amore, è intrecciata con la domanda d’amore, che ne è l’altro versante, e per questo all’orizzonte di ogni domanda Lacan mette le tre passioni fondamentali, dell’odio, dell’amore, dell’ignoranza.

Marco Focchi